PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

Alfredo Lombardi e la criminalità etiopica

Share this
1 dicembre, 2021 - 10:36
di Luigi Benevelli

Dal 30 maggio all’1 giugno 1940, nei giorni quindi a ridosso dell’intervento del Regno d’Italia nella seconda guerra mondiale, a Napoli,  nell’ambito della Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare, si tenne il Congresso di Medicina Legale e delle Assicurazioni  e di Antropologia Criminale. Lì il 31 maggio Alfredo Lombardi, “già funzionante Primario presso il Manicomio Giudiziario di Aversa, Caporeparto Neuropsichiatrico presso l’Ospedale Coloniale Principale “Duca degli Abruzzi” in Addis Abeba”, presentò la sua trattazione Studio biopsicologico dei condannati indigeni  dello Scioa[1].
Egli partì dalla premessa che: “Nessun popolo può essere tenuto e governato dai colonizzatori, se non si abbia la conoscenza esatta, e quindi il controllo di tutti quei fattori individuali e ambientali che tendono a deviarlo in atteggiamenti  e reazioni  contrari agli interessi ed alle leggi della comunità”.
Sulla base di tale assunto Lombardi affrontava “ il problema della criminalità delle razze africane considerate nel loro ambiente autoctono ed in rapporto alla legislazione dei colonizzatori”. E qui l’antropologia, vivificata dal felice innesto delle dottrine costituzionalistiche, era considerata l’unica scienza capace di fornire concreti elementi d’orientamento nella lotta contro la criminalità: per  una lotta efficace contro la criminalità, “uno dei compiti essenziali della civilizzazione delle popolazioni locali” era  necessaria quindi una “sistematica della popolazione civile” e una nuova criminologia etnica poteva nascere dall’innesto dell’indispensabile documentazione sociologica ed etnografica nella italianissima antropologia criminale. Questo perché “nel caleidoscopio di gruppi etnici che vigoreggiano nel nostro Impero, già la più superficiale delle osservazioni indica quanto potentemente eredità, tradizione, cultura, religione, regolamentazione giuridica di ciascun gruppo etnico, non solo non di rado direttamente determinino particolari forme di attività criminosa, ma anche non restino mai estranei alla determinazione e all’esecuzione dei comuni reati”. Il criminologo, quindi, “era il più adatto a fornire al legislatore e agli organi politici i dati essenziali per una norma giuridica che corrisponda alle particolari esigenze del caso”.
Lombardi si era proposto di dare il via “a un accurato censimento di tutti i nativi comunque venuti a conflitto con le nostre leggi”, studiando ciascun individuo dal punto di vista biosociologico “ai fini della esatta delimitazione del preciso apporto per ciascun caso al complesso criminogeno ed alla sua realizzazione dell’elemento individuale, di quello ambientale, di quello razziale”.
Richiamava alle ricerche di Lidio Cipriani sugli “elementi concreti atti a differenziare i vari gruppi” per affermare, in sintesi, che esistono due grandi gruppi: gli etiopi e i negri cui andavano aggiunti i risultati della varietà di “tutti i possibili incroci”. Gli etiopici si suddividevano in “Cusciti settentrionali” abitanti il Nord e la Costa; gli “Alto Cusciti” suddivisi a loro volta in Abissini e Sidama”; i “Basso Cusciti” suddivisi in “Somali”, “Galla” e “Afar Saho”. I Negri, a loro volta si dividevano in Nilotici e Bantù.
Ciò premesso, Lombardi si concentrava sulle detenute e sui detenuti nelle carceri di Addis Abeba  appartenenti agli Amara, un sottogruppo dei Tigrini, che parlano l’amarico e sono di religione copta (tratto facilmente osservabile perché al collo e ai polsi usavano portare simboli della loro religione). Lombardi  considerava veri Amara solo soggetti con padre e madre anch’essi amara; per quanto riguardava l’età, non essendovi registri anagrafici, optava necessariamente per l’attribuzione di un’età “apparente”. Con l’antropometro del Viola, messogli a disposizione dall’amministrazione coloniale che ringraziava, aveva proceduto alla misurazione delle teste seguendo il metodo costituzionalistico. Rilevati eventuali tatuaggi, cicatrici, disvolutismi (anomalie morfologiche specie craniofacciali), aveva proceduto all’esame funzionale (polso, respiro, pressione arteriosa), a quello neurologico, alla raccolta delle informazioni sui “principali sistemi della vita vegetativa, a un “interrogatorio tematico” per accertare sede e clima della residenza abituale, mestiere, alimentazione, composizione della famiglia, eventuali intossicazioni voluttuarie, classe sociale di appartenenza[2] e, infine, all’esame psichico. Qui le difficoltà erano risultate grandi non solo “per l’insufficiente cooperazione e comprensione degli interpreti, spesso impari al compito di una comprensione psicologica adeguata sia delle domande che delle risposte”, sia per la mancanza ancora “di uno studio sistematico della popolazione autoctona non delinquente”, studio  che Lombardi si proponeva di avviare per adattare “i nostri tests ed i nostri esperimenti alla particolare struttura mentale di questo gruppo etnico”.
Tenendo conto di questi limiti, Lombardi adottò “una serie di interrogatori tematici diretti alla delimitazione in ciascun soggetto:

  1. Della estensione complessità e differenziazione dei processi di autocoscienza;
  2. Della costruzione intima in ciascun nostro ambiente, in quanto comprensione delle nostre esigenze, ed atteggiamento subiettivo e reattivo di ciascuno in rapporto ad esse;
  3. Dell’atteggiamento di ciascuno di fronte al reato che fu causa della condanna e di fronte alla pena detentiva che ne è derivata”.

 
Lo studio aveva riguardato 300 soggetti, 250 uomini, un campione che rappresentava 1/6 dell’intera popolazione maschile carcerata,  e 50 donne, la quasi totalità delle detenute, per la gran parte prostitute di cui 4 omicide, 1 contrabbandiera di valute, 3 mercantesse di schiavi. Le omicide erano infanticide: al riguardo, l’infanticidio andava inteso come una “naturale scappatoia per sfuggire alla morte comminata alle madri di figli adulterini presso varie tribù”. I lineamenti di una psicologia differenziale fra i sessi sembravano a vantaggio delle donne, specie fra gli abitanti della città.
Quanto agli uomini, Lombardi affermava l’assoluta “inutilità pratica d’ogni tentativo di elevazione degli adulti, e l’opportunità e la convenienza di concentrare invece ogni sforzo sui fanciulli e sui giovani nella certezza  di poterne fare a non lunga scadenza “sudditi devoti e attivi”.
Anche fra gli Amara i delinquenti occasionali mostravano una “minorata capacità d’inibizione” e i delinquenti “costituzionali” comparivano più frequentemente “che nelle nostre popolazioni”. Fra questi ultimi particolarmente numerosi sembravano “i regressivi atavici ed i deficitari”. Oltre a quelle degli occasionali e dei costituzionali, era registrata una terza categoria,  maggioritaria, dei “delinquenti inconsapevoli”, comprendente coloro che non comprendevano le leggi italiane e ne ignoravano le prescrizioni. Al riguardo  Lombardi annotava, di passaggio, che i Codici italiani non erano ancora stati tradotti “in qualcuna delle lingue locali”. I “delinquenti inconsapevoli” erano assimilabili ai “nostri delinquenti minori di 18 anni ed anche di 14 anni”.
Il gruppo Amara risultava essere il più evoluto fra gli altri che abitavano l’Etiopia, ma osservandone i suoi “tipi criminali”, mostrava comunque una palese inferiorità razziale da cui discendeva quella che Lombardi chiamava immaturità “etico-giuridica”. E poiché non si poteva abdicare alla “nostra tradizione colonizzatrice” basata sul principio della “civilizzazione dei sudditi”, ci si doveva opporre al mantenimento delle prassi e dei costumi propri “primordiali”. Era al riguardo opportuno procedere ad una semplificazione delle norme giuridiche , fare largo uso delle pene pecuniarie e di quelle corporali, compresa la pena capitale, rinunciando alle lunghe detenzioni che non venivano comprese e fallivano lo scopo. Sì, invece, alle misure di sicurezza in Case di Lavoro, all’impiego negli Enti Minerari, nelle coltivazioni del caffè, della canna da zucchero, del cotone, dell’albero della gomma, nella costruzione e manutenzione delle strade. In caso di buona condotta e ridotta pericolosità sociale poteva essere disposta la scarcerazione e l’affido ad un Garante, una figura molto rispettata che apparteneva ai costumi locali.
 
Luigi Benevelli ( a cura di)
 

Mantova, 1 dicembre 2021

P.S. I miei più vivi auguri a tutte e tutti di buone feste e del migliore possibile 2022


[1] Alfredo Lombardi, Studio biopsicologico dei condannati indigeni  dello Scioa, “ Archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale“, 1941, pp. 99-142.
 
[2] - condizione sociale inferiore (esercenti lavoro manuale, soldati e gregari di banda, soggetti privi di mestieri e risorse)
- condizione sociale media (piccoli commercianti, graduati di truppa e di bande, piccoli proprietari)
- condizione sociale elevata (soggetti di rango e censo superiori, qualora ne avessi trovato !!!)

> Lascia un commento



Totale visualizzazioni: 1093