IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
Contro il freudismo, per il desiderio
La scienza moderna, avviata da Galilei e Cartesio, censurata dall’Inquisitore (1633) e tuttora ammessa con ritrosia dal senso comune, non è vitalista; non presuppone la nozione oscura di vita, narrata in epoca moderna da molti filosofi, da Hegel a Bergson. Il vitalismo è la molla del pensiero dell’essere-per-la-morte di Heidegger, che pensava che la scienza non pensasse. In un certo senso è vero. Il moto delle componenti di un sistema meccanico dipende dalle loro interazioni, non da un misterioso ed estrinseco principio vitale, contrapposto alla tendenza della materia alla morte. Magari gabellando il mistero come causa vitale. La scienza privilegia lo spazio sul tempo, che Einstein fa dipendere dallo spazio. In Heidegger il tempo dipende dall’essere. Foucault non apprezza Darwin, perché l’evoluzionismo darwiniano non ha dimensione genealogica. Infatti, non narra la verità di una parte rilevante di realtà; pensa vita e morte in termini demografici, cioè collettivi; sulla vita e la morte individuali lascia liberi filosofi e romanzieri di svanverare a piacere. Per la scienza moderna la morte individuale è solo una tassa senza evasioni.
Il vitalismo prescientifico di Freud ripropone dopo un paio di millenni l’ilozoismo dei primi filosofi greci, in particolare di Empedocle; lo testimonia il significante Seelenleben, “vita psichica”, presente ogni tre pagine delle 7000 delle Sigmund Freud gesammelte Werke; lo teorizza in modo sistematico la metapsicologia delle pulsioni, animate da arcane forze costanti, con un’energia quantitativa senza unità di misura, la libido, già irrisa da Bleuler. Si sa che non esistono forze costanti in biologia ma solo variabili, in particolare oscillanti.
Dopo Darwin le forze biologiche sono collettive prima che individuali. Sono forme di selezione di popolazioni biologiche, favorite a riprodursi. Ma le nozioni di variabilità e di interazione tra componenti elementari di un sistema collettivo sono del tutto estranee alla psicologia freudiana delle masse, che estende alle collettività umane la psicologia pulsionale individuale, concepita come identificazione al Führer, avatar del padre, senza interazioni tra simili.[1]
Alla pari di Aristotele, Freud adotta il modello di scienza come narrazione clinica basata sullo scire per causas. I casi clinici freudiani si leggono come novelle, prive del marchio serio della scientificità, lamentava lo stesso Freud.[2] Le pulsioni, die Triebe, sono le cause “mediche” degli effetti psichici, raccontati dall’anamnesi psicanalitica. Roba vecchia di clinica medica. È facile, perciò, che il discorso della vita si coniughi in via surrettizia a quello medico, che dopo Vesalio si fonda sull’anatomia, cioè sul cadavere. La pulsione di morte è iscritta, persino disegnata nelle tavole di De humani corporis fabrica (Venezia, 1543[3]); quattro secoli dopo torna sotto la penna di Freud in Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi (1925). L’anatomia, il corpo morto, fonda il vitalismo psichico del neurologo Freud.
Con lo psichiatra Lacan il vitalismo non ha più bisogno di anatomia. Il treno mortifero del vitalismo freudiano transita nella dottrina lacaniana sui binari del godimento, per la precisione, dei due godimenti: il primo fallico, extracorporeo o maschile, il secondo corporeo, femminile. Con Lacan il vitalismo godereccio spinge la psicanalisi fuori dal campo scientifico, con gran sollievo degli allievi, esonerati dall’incombenza di pensare, l’ortodossia sostituendo il pensiero. Il seminario lacaniano più vitalista è …ou pire del 1972 con una ventina di ricorrenze del significante la vie. Val la pena sfogliarlo, anche solo di sfuggita, essendo illeggibile, per rendersi conto che il vitalismo lacaniano pretende fondare la logica sul “non tutto”, simmetricamente a Hegel che la fondò sul “tutto”. Non approfondisco l’inezia logocentrica; ricordo solo che il programma logicista e cripto-vitalista di Frege e Russel era già fallito con il teorema di Gödel di incompletezza dell’aritmetica (1931).
Si sa che sua nipote Sophie ritenne il nonno Sigmund un falso profeta. A dirla tutta, non fu nemmeno profeta o lo fu solo suo malgrado. La fortuna di Freud – va aggiunto, provvisoria – fu dovuta al discorso medico, cui il dottore di Vienna legò la psicanalisi in nome della psicoterapia. È facile che una terapia abbia successo popolare, a prescindere dalla fondatezza scientifica. Lo si deve all’esorcismo della morte che ogni terapia esercita. Si pensi alla diffusione dell’omeopatia, dell’agopuntura o delle cure miracolose contro il cancro, che dimostrano quanto il popolo ami essere ingannato in nome delle conferme parziali, prodotte dal principio di ragion sufficiente; vulgus vult decipi, ergo decipiatur, si diceva e si praticava in Vaticano ai tempi; nulla è più ingannevole delle conferme parziali, per lo più casuali. L’ostilità di Freud contro i medici, che praticavano l’analisi da “selvaggi”, cioè senza esperienza di analisi personale, come cardiologi non specializzati in cardiologia o tisiologi che non conoscessero il bacillo di Koch, è però solo fumo negli occhi; cela la realtà medica del freudismo, codificata nella metapsicologia pulsionale, che pesca nel fondo più buio – aristotelico – delle cause che producono tutto l’effetto.[4]
La realtà della psicanalisi è molto diversa e più profonda di quanto non immagini la medicina, la quale non è scienza ma tecnica, che applica alla cura del malato i ritrovati di altre scienze. La psicanalisi prescinde dalla terapia medica che mira a ripristinare lo stato precedente la malattia, supposto “normale”. Affronta l’ineffabile destino di desiderio dell’uomo. La parola “desiderio”, Wunsch, letteralmente “augurio”, è assente dai trattati medici. Il freudiano, che conosca l’Interpretazione dei sogni (1899), può intendere qualcosa al di là della medicina dalle ungewollte Vorstellungen,[5] le “rappresentazioni non volute”, che inaugurano la nuova pratica analitica freudiana, la junge Wissenschaft di Freud.[6]
Un’ultima precisazione. Il mio discorso non va contro Freud ma contro il freudismo, che precede lo stesso Freud. Segnala la resistenza di Freud alla psicanalisi, causa ed insieme effetto del non aver portato a termine la propria analisi personale con lo sturanasi di Berlino Fliess. La stessa resistenza fu poi trasferita agli allievi dall’insegnamento magistrale del caposcuola. Il vitalismo è la principale fonte di resistenza alla psicanalisi di Freud e dei freudiani. Erige un baluardo di anti-scientificità contro l’innovazione della “giovane scienza” freudiana, che suppone un soggetto che non sa di sapere quel che già sa sul rapporto sessuale – l’inconscio.
Teniamo, infine, presente che il programma vitalista non ha mai salvato la vita di nessuno. Anzi, a partire dal vitalismo hegeliano, ha prodotto le forme di imperialismo più mortifere della storia moderna. Quando si dice che la morte genera la vita… o il contrario.