Il cinema di Sergio Leone - Dollari - Spaghetti-western - Lezioni di regia
Mi aveva convinto il direttore del tempo, Gerlando Lo Cascio, zio di Antonino ”Nino” amico e collega di studi per la pelle, ché mi teneva in grande considerazione.
- “Sergio, se proprio quella che ti interessa è la psichiatria, perché fare tanta neurologia?
Finalmente lo stipendio certo, dell’Amministrazione Provinciale romana. Centotrentamila lire guadagnate nella qualifica di “Assistente avventizio interino”, facevano comodo, potevo contribuire a provvedere alle necessità familiari che era già composta di sei persone. Tra i recinti di quello che era - e ancora lo sarebbe stato per un decennio - l’Ospedale Psichiatrico Provinciale, (O.P.P.) venni a scoprire un mondo decrepito, chiuso e sigillato, di “... presa consegna”, “lasciata consegna ...”, di chiavi “a due giri” e “a tre giri” della Suora caporeparto. Un universo separato come mai avrei potuto immaginare. Non c’erano soltanto “malati” e “malatini”, i tranquilli che facevano i servizi per le suore capo-reparto, gli infermieri e i medici, ma anche una umanità della più disparata natura, gli impiegati della Provincia addetti ai servizi amministrativi... Un porto franco a sè stante era l’area dell’economato, molto importante, al centro del comprensorio, davanti la vasca dei pesci rossi, dotato di una sorta di extraterritorialità, un non-luogo tra Bengodi e la Svizzera dove c’era di tutto!
Ebbene, nell’archivio della Direzione era stato assunto di fresco Alessandro, un giovanotto che aveva lavorato nel gruppo cinematografico di Sergio Leone (1929-1989), e ancora lo faceva, “fuori dall’orario di servizio”, ovviamente. Avevo dunque notizie di prima mano sui “set” degli “Spaghetti western”, un vero e proprio festival dell’immaginazione tracciato entro due confini invalicabili: la fantasia irrefrenabile e intelligente di Sergio Leone, la musica-commento dell’immagine, di Ennio Morricone, coinvolto suo malgrado nel cinema leoniano, con breni accordi, scarni leitmotiv, divenuti immortali. Intorno al regista romano che dell’inglese sapeva l’essenziale e inventava il copione poco prima di girare, si affaccendavano uno stuolo di addetti. Chi ere andato a cercare le “location”, chi i costumi, chi i “cascatori”, chi gli attrezzi, i cavalli, le carrozze, le armi, le divise, ecc. Ma quello di cui si fidava ciecamente era Carlo Sini (1924-2000), architetto viareggino, scenografo costumista, attore, fulgido cineasta!
Venerdì, 13 agosto 2022, ho rivisto “Il buono il brutto il cattivo” (1966), del mitico Sergio Leone. È bellissimo, non si discute, forse il migliore della “trilogia del dollaro“ e, probabilmente, il simbolo più efficace del genere “Western spaghetti”. Avevamo già apprezzato "Per un pugno di dollari" (1964) quello del fischio, ”Per qualche dollaro in più” (1965) quello del carillon, e infine questo con tre protagonisti, tutti pistoleri consumati, uno più bizzarro dell’altro, che completa la “trilogia del dollaro” del regista romano tormentato dall’idea di non ripetersi. Qui Leone ha veramente insegnato agli americani di Hollywood come si fanno i “Western”, a basso costo, e anche senza orchestra. Basta un fischio, una tromba, un carillon, uno sparo. Ciascun personaggio (protagonista, antagonista, caratterista figurante da 2/3 “pose” o semplice comparsa) recita nella propria lingua, senza testo, tanto si aggiusta poi nel doppiaggio. Quello che contava, per il nostro, era l’immagine, il senso storico della vicenda narrata, il colore e la musica. Tutto dev’essere riconoscibile di primo acchito. Questo, l’essenziale nel cinema! Sergio Leone, lo aveva capito al volo e lo ha insegnato a tutti.
Per queste storie statunitensi di “Frontiera dell’Ovest”, il vecchio e selvaggio “West”, il fondale non cambia, è sempre lo stesso, leggibile fin dalla prima inquadratura. La Guerra di Secessione americana - quella che non è mai cessata dopo oltre un secolo e mezzo - “giubbe blu” (i buoni antischiavisti) contro “giubbe grigie” (i cattivi, schiavisti), una grande carneficina di buoni e cattivi come messaggio contro la guerra, anzi tutte le guerre. Qui i protagonisti sono tre, una novità leoniana. In breve sintesi, nel bel mezzo della Guerra di Secessione, per l’appunto, tre spietati killer con un torbido passato si contendono un tesoro nascosto in un cimitero, senza esclusione di colpi.
«Il buono» alias “Biondo”, il “bounty killer”, il cacciatore di taglie dal volto umano e anche belloccio o almeno di figura non disdicevole, Clint Eastwood, parla con la voce di Enrico Maria Salerno .
«Il brutto», Tuco Ramírez, Eli Wallach (1915-2014), che ha la voce di Carlo Romano (doppiatore divino che andava su tutto), è l’assurdo bandito messicano che si picchia col fratello Pablo, frate francescano alla missione di Sant'Antonio, perché lo redarguisce di aver preso la cattiva strada. Per il numero di primi piani e di sguardi, vince su tutti! Mi ricordo di averlo doppiato anch’io, nella parte di Vincent Danzig, boss mafioso della serie di telefilm americani "L'onore della famiglia" (Our family honor) del 1985. Era facilissimo prendere il sinc, tempi precisi, poche parole, recitazione superba, anzi perfetta!
«Il cattivo» alias “Sentenza”, Lee Van Cleef (1925-1989), lo spietato sicario, con la voce scura di Emilio Cigoli, è qui ancor più cattivo, se possibile, del “colonnello Mortimer” del precedente “Per qualche dollaro in più”.
La piacevole novità consiste nell’arruolamento di Eli Wallach, l’attore che interpreta la parte del “brutto”, eccezionale! Andando a spulciare un po’ di letteratura specializzata, si viene a sapere che Sergio Leone aveva avuto un flash guardando un polpettone celebrativo holliwoodiano del 1962, a episodi, di quasi tre ore, diretto da 4 registi monumentali, John Ford, Henry Hathaway, George Marshall, Richard Thorpe. Oscar 1964. Eli Wallach gli era tornato alla mente «... per un gesto che fa nella Conquista del West, quando scende dal treno e parla con Peppard. Vede il bambino, figlio di Peppard, si volta di scatto e gli spara con le dita facendogli una pernacchia. Da quello ho capito che era un attore comico di estrazione chapliniana, un ebreo napoletano: si poteva fare tutto con lui. Infatti ci siamo molto divertiti a stare insieme» [02]
I pistoleri protagonisti - che qui sono diventati tre - se la vedranno nella scena conclusiva di un finale mozzafiato, apparecchiato, per la bisogna, da Carlo Sini, nel tondo del “triello”, lo "stallo alla messicana" dove ciascuno degli sfidanti sta sotto tiro dell’altro. A morire per primo sarà il cattivo. Il “brutto”, dopo essere stato costretto ad infilare a testa nel cappio coi piedi malfermi, verrà graziato dal “buono” con un magistrale tiro di carabina da lontanissimo, che spezzerà la corda.
Un lancio internazionale di grande rilievo, lo ebbe anche Aldo Giuffré (1924-2010), maggiore di 4 anni di Carlo, due prestigiosi attori di teatro cresciuti alla scuola di Eduardo. Mi rifaceva sempre il verso (ognuno sempre diverso) come medico dei matti! Ci frequentavamo perché sua moglie Liana Truché aveva fatto l’Accademia Sharoff con mia moglie Silvia. Indimenticabile nel film la sua presenza e la sua eroica morte drammatica nei panni del Capitano Clinton, naturalmente nordista, dunque buono, il quale accetterà l’arruolamento interessato dei tre killer divenuti soci per far saltare il ponte di Langstone con la dinamite.
Certo però, ripensandoci oggi, che, se si tagliasse la metà di questo capolavoro di Sergio Leone, soprattutto nei lunghi dettagli insistiti, l’effetto sarebbe di gran lunga migliore e la pellicola ne guadagnerebbe.
Note
01. La prima era stata quando, nel 1958, attraversato il Viale del Policlinico, ero passato dal comprensorio del “Policlinico Umberto I” - dove avevo completato la mia preparazione medica alla scuola di Frugoni, Condorelli e Cataldo Cassano - alla “Neuro” di Mario Gozzano, appena nominato a Roma per sostituire Ugo Cerletti.
02. Oreste De Fornari. Tutti i film di Sergio Leone. Milano, Ubulibri, 1985.