Intervista a Mauro Mancia

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28 novembre, 2012 - 17:53

 

Quali sono le conseguenze della sua teoria del linguaggio e soprattutto del concetto della fase infraverbale della comunicazione tra analista e paziente nel campo della psicoanalisi e in quello delle neuroscienze? Quali sono le applicazioni di tale teoria nella terapia del paziente psicotico che esercita un transfert molto particolare nei confronti del terapeuta?

 

Il paziente psicotico, contrariamente a quanto diceva Freud, non ha difficoltà nel creare un transfert. Al contrario la difficoltà nella relazione terapeutica sta nel fatto che si crea una situazione transferale molto intensa, molto violenta, sul versante persecutorio e difficilmente gestibile. Più il paziente è sofferente più dobbiamo ritrovare le ragioni della sua sofferenza nella sua infanzia, anzi nella vita prenatale e nell’infanzia precoce, cioè dalla nascita ai due anni. Le esperienze precoci non possono essere rimosse perché le strutture della rimozione, cioè della memoria esplicita, non sono mature. Pertanto dobbiamo pensare che queste esperienze depositate nella memoria implicita che non potranno mai essere ricordate continuano tuttavia a operare traumaticamente tutta la vita. Questo significa che nella psicoanalisi dobbiamo essere in grado di ricostruire con il paziente, lentamente e attraverso il lavoro sulla voce, sulle esperienze infraverbali e sui sogni, la sua storia affettiva personale e la sua storia traumatica, in modo che il paziente possa ricostruirle e riviverle all’interno della relazione terapeutica. Senza attuare questo processo non ci sono molte possibilità di aiutare il paziente, e per realizzarlo è necessario lavorare sul transfert, in quella particolare dimensione infraverbale che ho descritto, e anche sul sogno, perché ha la capacità di creare simbolicamente delle espressioni e delle immagini che sono originariamente presimboliche. Questa è la funzione del sogno, trasformare simbolicamente un’esperienza pre-simbolica così che divenga verbale e di conseguenza pensabile. E’ una catena fondamentale che è necessario instaurare per organizzare progressivamente insieme al paziente esperienze che non erano pensabili prima. La terapia consiste oggi in questo processo ricostruttivo. Finché questo lavoro ricostruttivo non è stato svolto non possiamo dire di aver fatto un’analisi, e questo può richiedere molti anni di lavoro.

Per quanto riguarda le neuroscienze invece, centrale è la scoperta che non esiste un solo sistema della memoria, ma due e conseguentemente non esiste un solo sistema inconscio, ma due: l’inconscio rimosso e l’inconscio non rimosso. L’inconscio non è un aspetto mitologico della mente, ma un funzione, come lo sono la memoria, l’attenzione, il ricordo, il pensiero e la percezione. E come tutte le funzioni della mente ha delle radici nell’attività cerebrale anche se non le conosciamo ancora in toto.

 

E’ possibile che nel corso del processo analitico un inconscio si trasformi nell’altro?

 

Certamente, è possibile che la memoria esplicita stimoli l’altra e viceversa. Peraltro questo è ciò che avviene nello sviluppo, perché quella che è la memoria implicita dei primi anni sarà fondamentale e condizionerà l’apprendimento e la memoria esplicita quando il bambino comincerà ad andare a scuola. Tra le due memorie vi è un flusso continuo, un continuo interferire e condizionarsi l’un l’altra, nello sviluppo normale cosi come nella psicoanalisi, che è in qualche modo un artificiale ri-sviluppo della mente umana.

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