Quarta giornata - Martedì 17 ottobre

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26 novembre, 2012 - 14:00

CORSO DI AGGIORNAMENTO TECNICHE INTERVENTISTICHE ENDOVASCOLARI IN NEUROLOGIA

Il primo intervento tenuto dal dott. Scomazzoni, ha confrontato l'efficacia dei diversi trattamenti endovascolari nell'ictus ischemico. La trombolisi intra-arteriosa (IA) per l'ictus ischemico acuto ha una storia completamente diversa dalla trombolisi endovenosa (EV): essa ha rappresentato l'evoluzione di quanto messo in atto per risolvere i problemi di trombosi che possono insorgere a seguito d'interventi endovascolari o semplicemente nel corso di arteriografie cerebrali, per cui la sua diffusione. La metodica della trombolisi IA consiste nell'iniezione di fibrinolitico in prossimità di o dentro il trombo, raggiunto per mezzo di un microcatetere.
Manovre meccaniche di disgregazione del trombo con la microguida possono essere associate per favorire l'azione del fibrinolitico. Strumenti di vario tipo possono essere utilizzati in associazione o in sostituzione del fibrinolitico per realizzare la dislocazione, la retrazione o l'aspirazione del trombo. Quest'ultima può essere realizzata dai cateteri normali o da cateteri a palloncino utilizzati nel test temporaneo di occlusione, con i quali oltre all'aspirazione si mette in atto la possibilità di bloccare il flusso durante le manovre di eventuale disgregazione del trombo. Tradizionalmente, per la trombolisi meccanica, sono stati utilizzati off label, strumenti creati per altri scopi: ad esempio, il palloncino di silicone ideato per la protezione del vaso portante nel trattamento degli aneurismi è stato usato per dislocare il trombo e così anche gli stent per le stenosi vascolari; i retriever (catch e merci), creati per estrarre corpi estranei come le spirali mal posizionate, sono stati usati per tentare di estrarre anche trombi. Per verificare l'efficacia dell'approccio endovascolare rispetto a quello EV sistemico servono trial randomizzati e controllati. Nelle revisioni Cochrane sulla trombolisi per l'ictus ischemico acuto vengono identificati solo 3 trial randomizzati sulla trombolisi intra-arteriosa . Tra questi studi nel PROACT e nel PROACT II è stata confrontata la pro-urokinasi ricombinante (Pro-UK) più eparina IA con eparina EV entro 6 ore dall'esordio dei sintomi, in pazienti con occlusione dell'arteria cerebrale media dimostrata all'angiografia. La meta-analisi dei due studi documenta un aumento del rischio assoluto di emorragie intracraniche sintomatiche del 7% circa ma una riduzione assoluta del rischio di decesso ed invalidità a lungo termine del 13%. Il terzo trial preso in considerazione dalla revisione Cochrane è l'EMS Bridging Trial , uno studio pilota, randomizzato, in doppio cieco, in cui vengono confrontate la trombolisi IA ed EV combinata e quella IA soltanto. Lo studio, che prevede la somministrazione dell'attivatore tissutale del plasminogeno (rt-PA) EV (0,6 mg/kg) o di placebo EV, seguita da angiografia cerebrale immediata e somministrazione di rt-PA IA (10 mg/h fino a 2 ore dopo iniezione di 2 mg in bolo nel trombo) in 35 pazienti entro 6 ore dall'esordio di un ictus ischemico. L'rt-PA IA è stato dato solo nel caso in cui l'angiografia avesse dimostrato un'occlusione arteriosa congrua con i sintomi del paziente sia nel gruppo placebo sia nel gruppo rt-PA ev. In questo studio non vi è stata differenza significativa nell'esito a 90 giorni dal trattamento, ma le inferenze sono estremamente limitate per il piccolo campione. In nessuno di questi trials la trombolisi IA è stata confrontata con l'rt-PA EV, che ad oggi è l'unica terapia farmacologia autorizzata per l'ictus ischemico entro le 3 ore dalla sua insorgenza. È proprio sulla base di queste considerazioni che nasce lo studio SYNTHESIS. Il SYNTHESIS è un trial randomizzato e controllato, condotto in aperto, multicentrico, con l'obiettivo di verificare se la trombolisi con rt-PA IA entro 6 ore dall'esordio di un ictus ischemico aumenta, rispetto alla trombolisi con rt- PA EV entro 3 ore, il numero di pazienti autonomi a 90 giorni.
Il secondo intervento è stato eseguito dal dott. Inzitari che ha spiegato i criteri di selezione utilizzati per la scelta del trattamento endovascolare nella terapia dell'ictus ischemico. In un centro con un sistema avanzato di valutazione e trattamento dell'ictus, come quello attualmente esistente presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze, sono a disposizione sia la trombolisi per via endovenosa che le tecniche endovascolari di disostruzione.
Il razionale per la scelta tra questi due tipi di trattamento è basato sul concetto di utilizzazione primaria del trattamento per via endovenosa in tutti i casi che rientrano nei criteri di inclusione ed esclusione per tale trattamento. Negli altri casi si può valutare la possibilità di ricorrere all'approccio endovascolare, tenendo comunque presenti la maggiore complessità organizzativa, i costi, il potenziale rischio di complicazioni, e, non ultimo, la minore evidenza scientifica (studi clinici prevalentemente non controllati). Per tali considerazioni il trattamento deve essere riservato ai casi con prognosi quo ad vitam e funzionalmente grave, che sono generalmente quelli con occlusione dei vasi prossimali maggiori. Le maggiori evidenze sulla sicurezza e sull'efficacia dell'approccio intrarterioso derivano dal PROACT II, un trial di fase III, multicentrico, randomizzato e controllato, che ha dimostrato l'efficacia clinica dell'infusione intra-arteriosa della pro-Urochinasi ricombinante (rpro-UK) entro 6 ore dall'esordio dei sintomi in pazienti con occlusione dell'arteria cerebrale media. La selezione dei pazienti nel PROACT II avveniva sulla base di criteri clinici, topografici e angiografici. Venivano arruolati solamente i soggetti con occlusione dell'arteria cerebrale media (ACM), in particolare nei segmenti M1 e M2, più agevolmente raggiungibili con il microcatetere. Erano esclusi i pazienti con punteggio alla National Institute of Health Stroke Scale (NIHSS) minore di 4 (eccetto per afasia/emianopsia isolate) a causa della più benevola prognosi di questo tipo di ictus e della minore probabilità di trovare un'occlusione in una sede vascolare prossimale, e tutti i soggetti con NIHSS >30 o in coma per grave ictus con erniazione cerebrale. La presenza di ipodensità in più di un terzo del territorio della arteria cerebrale media alla tomografia computerizzata (TC) d'ingresso costituiva un ulteriore criterio d'esclusione. La finestra temporale utilizzata nello studio era di 6 ore; su questa base si ritiene che il trattamento endovascolare permetta di estendere la finestra terapeutica ad un maggior numero di pazienti, dato che solo un terzo dei pazienti giunge attualmente in ospedale entro 3 ore dall'insorgenza dei sintomi. In base a tali evidenze tutti i pazienti che giungono c/o il PS dell'ospedale Careggi vengono inizialmente valutati secondo protocollo SITS-MOST per la trombolisi sistemica con rt-PA ev. I pazienti con ictus ischemico acuto ineleggibili al trattamento sistemico vengono quindi considerati per l'approccio intra-arterioso (quelli con prognosi comunque grave) o eventualmente per l'endarteriectomia in urgenza (quelli con ictus molto lieve).
Pertanto entro le 3 ore sono valutati per la trombolisi intrarteriosa i pazienti con deficit neurologico molto grave (NIHSS >25) o i pazienti con motivi di esclusione per la trombolisi sistemica. In accordo con il PROACT II sono esclusi dal trattamento i soggetti con coma associato a segni di ernia transtentoriale da grave infarto emisferico. Tra le 3 e le 6 ore sono candidabili tutti i pazienti con deficit neurologico grave e valutazione prognostica di evoluzione verso una importante disabilità o morte. Oltre le 6 ore possono essere valutati per la trombolisi intrarteriosa solamente i pazienti con sintomi a carico del distretto vertebro- basilare e con documentazione angio-TC di occlusione dell'arteria basilare o delle 2 arterie vertebrali; in particolare è possibile il trattamento fino a 12 ore dall'insorgenza dell'ictus o, se i sintomi hanno presentato un decorso fluttuante, fino ad un massimo di 36 ore. In conclusione la tromboilisi intraarteriosa viene esguita nei casi più gravi o se non c'è recupero dopo trattamento per via sistemica.
Il terzo intervento tenuto dal dott. Simonetti è in realtà una costatazione dell' assurdità di avere, a fronte di un considerevole aumento della richiesta di eseguire procedure endovascolari, una scarsa disponibilità di operatori. Il problema è essenzialmente legato alla difficoltà di formazione e le soluzioni sono ancora in itinere.
Il quarto intervento è quello del dott. Castellan riguardo i criteri di appropriatezza del trattamento endovascolare in caso di malformazioni vascolari endocraniche (aneurismi intracranici, malformazioni artero venose e fistole artero-venose durali). Per quanto riguarda gli aneurismi intracranici, fra i numerosi articoli pubblicati, ha assunto un rilievo particolare il trial ISAT (International subarachnoid aneurysm trial) che ha evidenziato un outcome migliore in termini di disabilità nei pazienti sottoposti a trattamento endovascolare, rispetto a quello neurochirurgico (23,7% di morti/disabilità a 1 anno per il trattamento endovascolare rispetto al 30,9% di quello neurochirurgico), con basso rischio di risanguinamento, relativamente più alto per la tecnica endovascolare. Gli obiettivi sono: occludere l'aneurisma, compattare le spirali utilizzate e modificare il flusso all'interno della malformazione. Sono comunque difficili da trattare per via endovascolare gli aneurismi fusiformi, gli aneurismi dell' ACM e quelli dell'apice della arteria basilare che si estendono verso l'arteria cerebrale posteriore. Il trattamento di embolizzazione endovascolare delle MAV ha risentito, nel corso degli anni, non solo dello sviluppo di nuove generazioni di microcateteri e di materiali embolizzanti, ma anche dei dati aggiornati riguardanti i risultati della microchirurgia e soprattutto della radiochirurgia. Inoltre, il corretto inquadramento diagnostico per pianificare il trattamento comprende, oggi, anche studi morfologici e funzionali dell'encefalo, per l'identificazione di eventuali aree eloquenti adiacenti alla lesione; questo permette di scegliere il miglior approccio chirurgico o endovascolare o un preciso centraggio radiochirurgico. I progressi della terapia endovascolare permettono all'embolizzazione di proporsi non solo come opzione pre-chirurgica o pre-radiochirurgica in malformazioni di grandi dimensioni o ad alto flusso, ma anche come unico trattamento in una percentuale significativa di casi. In ogni caso la strategia terapeutica delle MAV, anche se multimodale, deve sempre basarsi sul confronto del rischio della storia naturale della malattia, del rischio globale e della probabilità di successo dei trattamenti. Restano discutibili le indicazioni alla terapia endovascolare (o chirurgica o radiochirurgica) a fronte di una probabile incurabilità di alcune MAV. 
Segue l'intervento del dott Gandolfo riguardo le complicanze procedurali legate alla procedura endovascolare. Vanno considerate le complicanze acute e quelle più tardive.
Le possibili complicanze a breve termine sono principalmente rappresentate da:
" Sanguinamento o risanguinamento precoce dell'aneurisma o per lacerazione del vaso incannulato In questa evenienza, spesso fatale, il trattamento della complicanza consiste, abitualmente, nel ricorso alla terapia chirurgica tradizionale con clipping dell'aneurisma o del vaso sede della lacerazione (cui può conseguire una sofferenza ischemica nel territorio di distribuzione del vaso), ove praticabile in relazione alla sede dell'aneurisma ed alle condizioni del malato.
" Fenomeni trombo-embolici nel territorio dell'arteria trattata. Nel caso di fenomeni trombo embolici vi sono dati relativi all'utilizzo di tecniche di riperfusione mediante l'uso di:
- farmaci trombolitici (rTPA, o Urochinasi) usati localmente
- frammentazione meccanica del trombo, se accessibile
- farmaci anti-piastrinici (abciximab) usati per via endoveonsa
- varie combinazioni dei precedenti trattamenti.
" Insufficiente obliterazione dell'aneurisma
" Edema polmonare neurogenico per infarto ischemico dell'area insulare destra
" Complicanze infettive (ascesso intracerebrale per infezione delle spirali di Guglielmi)
" Migrazione extra-aneurismatica di parte delle spirali Se avviene una fuoriuscita totale o parziale di spirali dal colletto dell'aneurisma, il Neuroradiologo deve tentarne il recupero tramite manovre endovascolari, cosa non sempre possibile.
Questa evenienza si può verificare negli aneurismi a "colletto largo". In questi casi, la massima cura deve essere posta al fine di evitare che la complicanza si verifichi; sono state proposte numerose procedure che prevedono il contemporaneo uso di stent e spirali , ovvero particolari tipi di spirali che tendono ad auto-ispessirsi una volta immesse nell'aneurisma.
(a cura di A. Tinelli e M. Prontera)

Sessione di neuroimmagini

Durante la sessione di comunicazioni di neuroimmagini sono stati presentati numerosi contributi di grande interesse, con frequenti agganci alla pratica clinica.
Il dr. Romeo (Padova) ha presentato uno studio di correlazione SPECT-PET perfusiva e performance neuropsicologica in una ampia casistica di pazienti con distrofia miotonia. I loro risultati mettono in evidenza specifiche disfunzioni in alcuni compiti di memoria a breve termine e nelle funzioni esecutive piu' in generale, offrendo un nuovo aspetto di una malattia considerata spesso solo muscolare.
La dr. Preda (Ferrara) ha invece affrontato il contributo del DatScan nella risoluzione di casi di parkinsonismo la cui diagnosi clinica restava dubbia. Utilizzando una casistica di 150 DatScan consecutivi, il gruppo di Ferrara ha individuato un sottogruppo di pazienti in cui la coesistenza di fattori di rischio vascolare rendeva possibile la diagnosi differenziale con parkinsonismo vascolare. Benche' il DatScan risultasse normale in alcuni questi pazienti (rendendo quindi possibile la diagnosi di parkinsonismo vascolare) questo risultato non era generalizzabile, dal momento che la risposta alla L-DOPA non era sempre in accordo (ovvero, assenza di risposta anche con DAtSCAN patologico. Pertanto, le indicazioni all' uso del DatScan nella pratica clinica restano ancora dibattute.
Il dr. Labate (Catanzaro) ha invece trattato la possibilita' i avere pazienti con epilessia temporale associata a sclerosi ippocampale e decorso clinico benigno, vale a dire scarsa frequenza di crisi e buona risposta alla terapia. Alla luce della casistica del gruppo di Catanzaro, non è piu' possibile affermare che tutti i casi di sclerosi ippocampale presentino farmacoresistenza o cattiva prognosi sul controllo delle crisi. Percio', i dati di Risonanza magnetica non dovrebbero essere usati a scopo prognostico.
Infine, il dr. Tessitore (Napoli) ha analizzato l' attivazione dell' ippocampo e della corteccia frontale durante compiti di encoding e di retrieval in 12 pazienti affetti dal Sclerosi laterale amiotrofica cognitivamente normali. Sorprendentemente, i pazienti presentavano una maggiore attivazione delle aree frontali (incluso il polo frontale di destra) durante i compiti mnesici, a parita' di performance cognitiva e motoria con i controlli sani. Inoltre, l' attivazione dell' ippocampo si verificava in aree poste assai posteriormente rispetto a quelle attivate nei controlli. Queste alterazioni apparivano correlate al grado di interessamento del I mononeurone. I risultati del dr. Tessitore indicano che nella SLA i networks corticali possano essere alterati anche in assenza di disfunzione cognitiva evidente.
( a cura di Francesco Roselli)

Conferenza didattica: la neuroestetica

La conferenza didattica del prof. Paolo Livrea è stata dedicata all' introduzione di un campo nuovo ed ancora poco noto delle neuroscienze: la neuroestetica. La neuroestetica si occupa dello studio delle basi neurali del bello e dell' arte. Perché ci sono quadri o immagini piacevoli, ed altri spiacevoli? Perché il bello ci attira? Quali sono le caratteristiche del bello? Quali aree cerebrali e quali network si attivano mentre si osserva il bello? 
Queste ed altre sono state le questioni affrontante dal prof. Livrea, che ha mostrato i risultati conseguiti fino ad oggi ma soprattutto le questioni aperte e le linee di ricerca.
Gli studi di risonanza magnetica funzionale hanno messo in evidenza che la corteccia frontale ed in particolare la porzione orbito-mediale si attivano durante i compiti di valutazione del bello e che la visione di immagini brutte, neutre o belle attiva zone diverse del giro del cingolo. Ancora, il bello corrisponde alla attivazione del sistema del reward, suggerendo che il bello venga attivamente ricercato.
La discussione del prof. Livrea ha toccato molti punti di intersezione tra antropologia culturale, storia dell' arte e neuroscienze. Il prof. Livrea ha mostrato come all' evoluzione culturale degli esseri umani sia corrisposta, nella storia, una progressiva variazione dalla preponderanza del tratto e della figura alla preponderanza del colore, e poi, a partire dall' arte moderna, al superamento della forma stessa. 
Il prof. Livrea ha quindi affrontato il problema dell' ordine e della bellezza, mostrando come in natura un gran numero di fenomeni ed oggetti tendano a riproporre le stesse proporzioni e le stesse regole d' ordine, due fra tutte la sezione aurea e la progressione di Fibonacci, e come le immagini naturali tendano a presentare valori convergenti del cosiddetto "valore frattale". Le basi fisiche di questo "ordine nascosto" sono ancora sconosciute, ma i dati presentati suggeriscono che il nostro apprezzamento del bello sia in qualche modo legato al riconoscimento di questo tipo di ordine.
Infine il prof. Livrea ha tratteggiato le molte correlazioni tra produzione artistica e neurologia, mostrando esempi clinici di pazienti che hanno sviluppato insospettabili talenti artistici nelle fasi precoci della demenza frontotemporale, o viceversa la scomparsa di determinate qualita' artistiche in corso di malattia di Alzheimer o di malattia cerebrovascolare. La neuroestetica si pone percio' al crocevia tra neurologia, neuropsicologia cognitiva, neuroscienze ed altri saperi: filosofia, arte, storia, antropologia.
( a cura di Francesco Roselli)

Comorbidità tra patologie neurologiche e depressione

Il primo intervento dal titolo "La depressione nelle patologie neurologiche" viene presentato dal dott. G. Spalletti, in sostituzione del prof. C. Caltagirone. Partendo dal dato che la depressione è presente in una percentuale di pazienti affetti da patologia neurologica che varia dal 30% al 50% ,il relatore passa a sottolineare gli aspetti peculiari della depressione nel soggetto con Malattia di Alzheimer. Tra questi si annoverano la paucisintomaticità e l'erraticità dei sintomi che configurando un quadro così caratteristico da essere stato proposto per l'inserimento nel DSM-V. Depressione è presente anche nel Mild Cognitive Impairment e quando è presente prima dei 50 ann, sembra essere un predittore di aumentata morbilità e mortalità con il passare degli anni. Quando alla depressione si associano deficit cognitivi o disfunzioni esecutive, l'outcome risulta compromesso con maggiore tendenza alla cronicizzazione del quadro. I dati sugli effetti degli antidepressivi e sui farmaci più indicati nella depressione in comorbidità con patologie neurologiche sono limitati. C'è comunque concordanza nel dare rilievo ad una terapia quanto più precoce e successivamente protratta possibile, con cautela nella valutazione dei profili di tollerabilità e sicurezza.
Il secondo intervento è quello del prof. G. Biggio, che tratta il tema degli "Aspetti neurocognitivi della biologia della depressione". Una riflessione sui dati più attuali in tema di conoscenze neurobiologiche sullo sviluppo del cervello è lo spunto per approfondire l'argomento del meccanismo d'azione a lungo termine dei farmaci antidepressivi. Ci sono oggi evidenze di neuroimaging che supportano l'ipotesi che gli antidepressivi esercitino un effetto sul trofismo neuronale tramite il BDNF e sui fenomeni di neurogenesi. Studi condotti su animali da esperimento estendono i fenomeni di plasticità neuronale arrivando a spiegare la risposta agli eventi stressanti non solo della vita adulta, ma anche di quella perinatale e intrauterina. Non solo eventi stressanti sembrano ridurre i fenomeni di rimodellamento neuronale, ma esperienze positive ed appaganti, come i trattamenti psicoterapici, sembrano influire in senso positivo su questi fenomeni.
Chiude il simposio l'intervento del prof. R. Torta, che si focalizza sui "Sintomi somatici/residui della depressione". La depressione viene presentata come una malattia complessa, sia dal punto di vista clinico, che eziopatogenetico. Diverse sono le dimensioni sintomatologiche che vi si riconoscono: affettiva, ma anche cognitiva, comportamentale e somatica. Quest'ultima acquisisce una particolare rilevanza sia agli esordi, quando può facilmente portare ad un mancato riconoscimento dei disturbo, sia in fase di remissione, quando la permanenza di sintomi residui somatici influenza negativamente la prognosi. Tra i sintomi somatici quelli più rilevanti sono comprensibilmente quelli dolorosi cronici, che rispondono in modo soddisfacente agli antidepressivi. In particolare il relatore fa riferimento ai risultati ottenuti dal proprio gruppo nel trattamento con basse dosi di venlafaxina di pazienti oncologici terminali, che, oltre al beneficio sintomatico, hanno anche potuto ridurre la dose di oppiacei assunta. Viene infine ribadita l'importanza di porre come obiettivo di una terapia antidepressiva adeguata la remissione sintomatologica completa e di protrarre il trattamento per un periodo di tempo congruo, anche superiore ai 12 mesi.
(a cura di W. Natta)

Epilessie farmacoresistenti e nuove opportunità terapeutiche

Un breve flash sul simposio dedicato a Zonisamide e nuove opportunità nella gestione terapeutica dell'epilessia oggi in collaborazione con EISAI.
Il prof. Mutani ci ha riproposto il percorso che ha portato all'attuale definizione di epilessia farmacoresistente partendo da una osservazione di Hauser che si chiedeva: dato che la terapia antiepilettica è una terapia solo "palliativa" non dovremmo considerare tutte le forme di epilessia come farmacoresistenti? Attualmente si ritiene "resistente" quella epilessia che rimane attiva nonostante una terapia adeguata (ma per quanto tempo? Con minimo quanti farmaci?). L'attenzione è stata posta, poi, sulla prevedibilità di farmaco resistenza: che possibilità di rispondere ad un secondo farmaco ha un paziente in cui un primo farmaco (usato correttamente!) è risultato inefficace ?(30 % secondo Parrucca, 11% secondo Brodie). I fattori di rischio per lo sviluppo della farmacoresistenza sono stati indicati come legati in parte alle caratteristiche dell'epilessia (precocità esordio, frequenza di crisi, durata di malattia attiva prima e dopo della terapia, anomalie EEG evidenti�), in parte a fattori eziologici (presenza di displasie corticali, sclerosi ippocampale, tumori etc). Si è ricordato, quindi, che la farmacoresistenza è un fenomeno dinamico: i farmaco resistenti possono essere tali ab-initio, divenirlo dopo un periodo di tempo variabile di risposta alla terapia o oscillare tra fasi di risposta e non risposta e, questo, perché i meccanismi responsabili di questo fenomeno sono molteplici e comprendono siano cause congenite (polimorfismi dei trasportatori dei farmaci a livello della BEE e delle molecole bersaglio dei farmaci) che acquisite (modificazione degli stesi trasportatori e/o delle molecole bersaglio indotte dal ripetersi delle crisi).
Prima regola da ricordarsi, però, nella gestione del problema "resistenza" è verificare che si tratti proprio di epilessia farmaco resistente(il paziente è epilettico? Se si, le crisi che persistono sono di natura epilettica? Il/i farmaci sono impiegati a dosaggio adeguato? Il paziente gli assume correttamente?). A seguire il dott.Pisani ha ricapitolato le caratteristiche di efficacia e tollerabilità dei nuovi farmaci antiepilettici (AEDs) partendo dal Vigabatrin e dal Felbamato, di ristrettissimo impiego dati i gravissimi effetti collaterali, passando per tiagabina, lamotrigina, topiramato e oxcarbazepina per i quali vi sono molti studi rigorosi in letteratura, quindi per levetiracetam, gabapentin e pregabalin e finendo con la zonisamide ancora non in commercio nel nostro paese. Il dott.Pisani ha quindi ricordato come possiamo dividere gli AEDs di nuova generazione in 2 gruppi: il primo efficace solo sulle crisi parziali con o senza generalizzazione secondaria (gabapentin, pregabalin, oxcarbazepina, tiagabina, vigabatrin) ed il secondo efficace anche sulle epilessie primariamente generalizzate (felbamato, lamotrigina, levetiracetam, zonisamide). Da considerare poi che lamotrigina, topiramato, oxcarbazepina e zonisamide hanno indicazione anche in età pediatrica. L'intervento è stato concluso dalla presentazione di due lavori tipo "expert opinion" ed un lavoro di "evidence based medicine" sulle indicazioni terapeutiche degli AEDs ed il dott. Pisani ha sottolineato come solo unendo la evidence-based-medicine e l'esperienza pratica clinica sia possibile arrivare a definire in modo corretto indicazioni ed efficacia dei farmaci. Chiudo questo report con la domanda posta dal prof. Bonavita, moderatore della sessione, che riportando in primo piano il ruolo della farmacogenetica nel determinismo della famarcoresistenza ma anche della risposta ad un farmaco in una data popolazione in studio si chiede se il popolo degli epilettici italiani risponderà a zonisamide altrettanto bene quanto quelli giapponese ed americano�
(a cura di C.dell'Aquila)

SIMPOSIO: SINDROME DELLE GAMBE SENZA RIPOSO VISTA DAL PAZIENTE E DAL MEDICO

Il simposio comincia con l'intervento del Prof. Luigi Ferini-Strambi che introduce l'argomento fornendo dati epidemiologici sulla Sindrome delle Gambe senza riposo (RLS). Gli studi evidenziano una incidenza della RLS nei pazienti che afferiscono agli ambulatori di Medicina Generale pari al 3-4%; l'ultimo studio epidemiologico internazionale (REST) del 2004 dimostra una incidenza in Italia pari a 2,4%. È noto che la diagnosi di RLS è sostanzialmente clinica. Sono quattro essenzialmente le caratteristiche da prendere in considerazione:
a) bisogno irresistibile ed intenso di muovere le gambe, generalmente associato a sintomi sensitivi (parestesie o disestesie);
b) irrequietezza ed agitazione motoria espressa con il movimento, che fornisce sollievo alla sensazione di bisogno irresistibile di muovere le gambe;
c) netta accentuazione dei sintomi con il riposo;
d) peggioramento serale, al momento di coricarsi e/o nelle prime ore della notte.
Il più importante strumento diagnostico, anche per il medico generale, è una attenta anamnesi che spesso risulta difficile da raccogliere per cui solo il 13% circa dei pazienti che afferiscono agli ambulatori di medicina generale ricevono una diagnosi corretta e addirittura il 58% dei pazienti ha difficoltà nel riferire correttamente i propri sintomi.
Il Dott. Monti, in qualità di rappresentante dei medici di medicina generale, lamentando l'assenza di studi epidemiologici nazionali sulla RLS, ha presentato i dati di un questionario sottoposto a circa 13000 medici di base che hanno evidenziato che circa il 66% dei medici di base visiona 1-5 pazienti all'anno con caratteristiche cliniche assimilabili alla RLS e che quasi sempre non riescono a fare diagnosi certa di malattia, attribuendo questi sintomi ad altre patologie quali diabete, patologie vascolari, artropatie e neuropatie. Circa il 73% dei medici di base tratta direttamente questi pazienti con ansiolitici riportando scarsi risultati e solo il 27% di essi si avvale della consulenza dello specialista neurologo per la gestione del paziente. Da questi risultati emerge che le maggiori difficoltà diagnostiche da parte dei medici di medicina generale sono rappresentate da: sintomatologia sfumata soprattutto nelle fasi iniziali, la mancanza di tests specifici, la presenza di patologie concomitanti in particolare nei pazienti anziani, carenza di iniziative d'informazione per i medici di base.
Il Prof. Ferini-Strambi, riprendendo la parola, ritorna sul problema della diagnosi differenziale elencando patologie che maggiormente possono confondere i medici di base. Tra di esse ha ricordato: il discomfort positional (dormire in una posizione sbagliata), gli sleep-starts (scatti agli arti in corso di transizione veglia-sonno) che a differenza della RLS durano pochi secondi, l'acatisia indotta da neurolettici, presente anche di giorno e non migliorabile con il movimento come avviene nella RLS, i crampi che, a differenza della RLS, interessano un singolo muscolo ed infine il dolore che non regredisce con il movimento. Al fine di aiutare il medico a giungere ad una corretta diagnosi, consiglia di indagare sulla storia familiare della patologia, di valutare la risposta ai dopaminoagonisti e ancora verificare la mancata risposta al trattamento ansiolitico. La terapia di prima scelta è rappresentata dai dopaminoagonisti a basso dosaggio, considerati anche "farmaci diagnostici" per l'evidenza che possono determinare miglioramenti clinici sin dal primo giorno di assunzione, ricordando però che la terapia va limitata a pazienti con sintomi rilevanti, con una elevata frequenza che determinano un impatto negativo sulla qualità di vita.. In conclusione è importante che il medico di medicina generale conosca attentamente questa patologia al fine di giungere rapidamente ad una diagnosi corretta già nel suo ambulatorio dando benefici indiscussi sia al paziente che alla società considerati i costi, soprattutto indiretti, molto elevati.
(a cura di S.Ottaviano e A. Superti)

CONFERENZA DIDATTICA Prevenzione secondaria dell'ictus:dalla ricerca alla pratica clinica

SIRIO: quali novità dal registro italiano dell'ictus (A.Carolei)
Lo studio SIRIO è stato condotto per monitorare la gestione ospedaliera dei pazienti all'interno di strutture neurologiche e valutare la prognosi del ricovero stesso .
Si tratta di uno studio multicentro, di tipo osservazionale che ha proposto di registrare tutti i casi incidenti di ictus ischemico o emorragico occorsi tra il 01 gennaio e il 31 ottobre 2005 e di seguirli poi nel follow up pper un anno I pazienti venivano quindi studiati, con particolare attenzione ai fattori di rischio e valutati sia al ricovero che in dimissione tramite NIHSS, mRankin e Barthel Index.
I centri in Italia sono stati 103 ed il totale di pazienti 3,018 di età media 72,2 ± 12,2. Il numero di ictus ischemici è stato 2,573, pari all'85% del totale, mentre gli emorragici sono stati 445, pari al 15% del totale. Per quanto riguarda l'eziologia nel 29% dei casi si trattava di aterosclerosi dei grossi vasi, nel 25% di ictus cardioembolici, nel 265 di trombosi dei piccoli vasi ,nel 6% altre cause e nel 13% cause non determinate.E' stata poi studiata la comparsa dello stroke e si è visto che la maggior parte degli ictus avveniva nelle prime ore del mattino, sia per gli ischemici che per gli emorragici, e come giorno della settimana era più frequente il lunedì.
Lo studio dell'arrivo del paziente in ospedale ha dimostrato che il 51% dei pazienti arriva in ambulanza , il 29% arriva accompagnato dai parenti, il 17% riesce ad arrivare in ospedale da solo e nel 3% dei casi si tratta di pazienti già ospedalizzati.Possiamo inoltre sottolineare come siano crescenti le proporzioni di pazienti che arrivano in ambulanza e come ciò sia proporzionale alla severità dell'ictus per cui possiamo notare un aumento della sensibilità da parte dell'opinione pubblica nei confronti del problema ictus. 
Correlando l'ospedalizzazione dell'ictus con la gravità valutata con la NIHSS si è notato che la gravità dell'ictus è maggiore al Sabato. Gli ictus che arrivano in ambulanza decrementano dal martedì al venerdì così come decrementa anche la loro gravità come punteggio medio di NIH ed in rapportoall'ora il picco di maggior affluenza e di maggior gravità dell'ictus si ha nella notte. Si è potuto valutare,inoltre, l'intervallo di tempo tra l'esordio della sintomatologia e il ricovero.Valutando la mediana, il valore più corto in minuti si aveva il sabato (120 minuti)mentre il più lungo il venerdì( 173,5 minuti).Il tempo più corto lo si aveva tra le 2 e le 5 del mattino, il più lungo tra le ore 20 e le 23. Un altro valore considerabile è stato l'intervallo di tempo tra l'insorgenza dei sintomi e l'esecuzione di TC cranio o RM encefalo. Per 339 pazienti il tempo di attesa è stato di inferiore o uguale a 180 minuti e di questi , 87 pazienti avevano più di 80 anni. Possiamo dedurre, quindi, che ben 225 pazienti avrebbero potuto usufruire del trattamento trombolitico. Considerando,poi, i fattori di rischio, si è visto che il 70% dei pazienti era iperteso ed il 25% diabetico e questi valori sono sovrapponibili a quelli delle singole casistiche ospedaliere. Per quanto riguarda ,invece, la prevenzione primariail 60% dei pazienti non effettuava un'adeguata prevenzione antitrombotica, il 36% prendeva antiaggreganti ed il 5% faceva terapia anticoagulante. Pochi erano ,invece, i pazienti che facevano terapia con antipertensivi e statine pur essendo l'ipertensione altamente presente come fattore di rischio.
Durante il ricovero il 73% dei pazienti è stato sottoposto a terapia con antiaggregante. Per quanto riguarda il trattamento alla dimissione : 134 pazienti sono deceduti, 2439 pazienti sono sopravvissuti allo stroke. Il 97% dei pazienti è stato dimesso con terapia antitrombotica e di questi l'80% con antiaggregante.
Dei dimessi più del 50% sono tornati al proprio domicilio,il 22% è stato accolto in centri di riabilitazione.
Questo studio ci è servito ,quindi, per conoscere meglio la realtà dei nostri pazienti, delle loro esigenze, di noi stessi e delle nostre strutture qui in Italia.
Si tratta ,perciò, di un punto di partenza.
( a cura di M. Sancilio)

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