Intervista a Nicoletta Brunello

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12 ottobre, 2012 - 17:56

D: L'Italia è al momento attuale tagliata fuori dalla produzione di psicofarmaci, ma quale è lo stato della ricerca in Italia e cosa può dare la psichiatria italiana in questo ambito?
R: Io non sono psichiatra, sono neurofarmacologa. Studio i farmaci da un punto di vista preclinico e posso dire che già da parecchi anni ci sono gruppi di eccellenza nel nostro campo che si occupano di studiare il meccanismo d'azione di farmaci che ovviamente sono già a disposizione del pubblico e in più di verificare se quei target molecolari, che sono appunto il bersaglio di azione dei farmaci, possono rappresentare dei markers biologici della patologia, in base all'assunto che se un farmaco va ad agire su un determinato bersaglio, questo stesso bersaglio può essere alterato in un paziente depresso, schizofrenico o demente e quindi, in questo modo dare un'idea di cosa andare a cercare. o per esempio fare diagnosi precoce di queste malattie soprattutto nel campo delle malattie neurodegenerative. E' chiaro che è difficile trasferire dall'animale all'uomo queste informazioni; però ci sono stati risultati molto interessanti soprattutto per quanto ruiguarda l'effetto dei farmaci antidepressivi sulla plasticità sinaptica, sulla neurogenesi. Quello che risulta è che quasi tutti gli psicofarmaci condividono questo effetto sulla plasticità sinaptica cioè sulla capacità di modulare quella che è poi la risposta dei neuroni. Questo si verifica soltanto dopo un trattamento prolungato con psicofarmaci che è poi quello che si vede nella pratica clinica. Gli unici farmaci che si discostano un pò da questo sono le benzodiazepine che noi sappiamo hanno un effetto molto più rapido e quindi possono essere usate in acuto perché il loro meccanismo molecolare è un meccanismo di modulazione di un canale ionico che si verifica molecolarmente in frazione di millisecondo, mentre le azioni degli altri farmaci richiedono modificazioni dell'espressione di proteine che molecolarmente richiede ore, giorni e che quindi fenomenologicamente si traduce in qualcosa che compare dopo giorni e settimane.

D: Questi studi di cui ha parlato sono condotti da gruppi di lavoro italiani a dimostrazione del contributo che la neuropsicofarmacologia sta dando?
R: Sì, il contributo dell'Italia è molto valido, certo.

D: L'OMS sostiene che in ambito psicofarmacologico non sia così importante abbandonare le vecchie molecole al posto delle nuove. Cosa ne pensa?
R:Io non sono molto d'accordo su questo, senza rinnegare il valore delle vecchie molecole che hanno contribuito tantissimo a curare o meglio, trattare, molte patologie psichiatriche. Perché la neuropsicofarmacologia è una disciplina relativamente giovane, ha 50 anni, e queste molecole sono state veramente importanti. L'unico problema è che queste molecole hanno gravi effetti collaterali che possono limitare l'adesione del paziente al trattamento: già l'individuo sta male, in più come abbiamo detto prima questi farmaci agiscono solo dopo un trattamento cronico e quindi l'effetto collaterale ha una valenza estremamente elevata.
Le nuove molecole certamente sono più care, ma nel momento in cui si dimostra che hanno la stessa efficacia di quelle vecchie e meno effetti collaterali sono sicuramente da preferire soprattutto se hanno meno effetti collaterali nella sfera dell'attività sessuale, del movimento, e si somministrano a pazienti giovani. Pensiamo a un giovane schizofrenico: uno dei maggiori effetti collaterali delle vecchie molecole è quello di indurre una sintomatologia simile al parkinson; si immagina cosa vuol dire vedere una persona di 20 anni che ha i sintomi di un malato di parkinson?
Questo stigmatizza anche molto il paziente perché immediatamente uno riconosce la persona che ha quella patologia dagli effetti collaterali del farmaco che sta assumendo; immediatamente si riconosce una persona che è sotto l'effetto di questi farmaci.

D: L'altra domanda è proprio sugli effetti collaterali che si stanno evidenziando anche con le nuove molecole; non tanto con sintomi di tipo neurologico ma ugualmente importanti?
R: La mia opinione personale è questa: è importante lo studio dei "nuovi" effetti collaterali, viene riportata la sindrome metabolica, ovvero diabete di tipo II e obesità; in realtà è noto da tempo che i pazienti schizofrenici hanno una particolare vulnerabilità: un tratto legato alla schizofrenia è quello di essere più vulnerabili a sviluppare questo tipo di malattie. Molto probabilmente non sono stati fatti degli studi quando erano disponibili solo le vecchie molecole in particolare su questo aspetto perché essendoci gli altri effetti collaterali molto più evidenti chiaramente attiravano l'attenzione e non ci si preoccupava molto del fatto che una persona potesse aumentare di peso o avere intolleranza al glucosio. Oggi, invece, con i nuovi antipsicotici venuto meno l'importanza dell'effetto extrapiramidale così evidente ovviamente si è posta l'attenzione su questo problema della sindrome dismetabolica. Però se uno andasse anche retrospettivamente a guardare l'incidenza di questi effetti collaterali con le vecchie molecole sono sicura che si troverebbero anche questi effetti collaterali.
Proprio oggi in una meta-analisi il Prof Aguglia paralndo della demenza di Alzheimer dimostra che non c'è assolutamente l'indicazione di una maggiore tossicità dal punto di vista cardiovascolare dei nuovi antipsicotici rispetto ai vecchi; tutto quello che è stato detto 2 anni fa rispetto al risperidone e olanzapina non sembra essere confermato da questo recente studio che prende in considerazione decine di migliaia di pazienti. Quindi sarei un pochino più tranquilla.

D: Rispetto ai due grandi gruppi: antipsicotici e antidepressivi i cambiamenti più ecclatanti in quale dei due si registrano?
R: Non mi sento di dire da una parte o dall'altra, ma sicuramente con gli antipsicotici atipici c'è stato un grande passo in avanti per quanto riguarda la sicurezza e la tollerabilità di questi farmaci. Con gli antidepressivi c'è stato un ampliamento enorme dell'uso di questi farmaci non necessariamente solo per la depressione tanto è vero che non è quasi più corretto chiamarli antidepressivi; bisognerebbe chiamarli semplicemente farmaci che potenziano la trasmissione serotoninergica o dopaminergica perché si sono dimostrati utili nel trattamento dei disturbi d'ansia come nei disturbi comportamentali.

D: Questo accade per diverse molecole in ambito psichiatrico: anticonvulsivanti come stabilizzatori dell'umore, neurolettici per il disturbo di personalità, ecc.
R: Si, infatti. Il fatto di essere usati trasversalmente per altri tipi di patologie; è una caratteristica comune. Ci fa capire che in realtà alcuni meccanismi non sono correlati specificatamente ad una patologia, oppure che abbiamo sbagliato la nosografia.

D: Forse sta un po' cedendo il DSM
R: Sì sta cedendo rispetto ai nuovi dati.

D: L'ultima domanda riguarda i dosaggi: soprattutto all'estero si arriva a somministrare dosi molto alte di certi psicofarmaci. Cosa ne pensa?
R: Io non vedo pazienti e quindi non potrei rispondere a questa domanda.

D: Pur non vedendo pazienti penso possa esprimere il suo parere, sul fatto che forse, una volta trovato il farmaco giusto, non sia necessario aumentare molto il dosaggio?
R: La buona pratica clinica sarebbe quella che per ogni farmaco bisogna utilizzare la dose minima efficace, per ogni tipo di patologia non soltanto in psichiatria. Una volta stabilito che quello è il farmaco efficace trovare la dose minima. Poi ci sono diverse categorie di pazienti, pazienti che possono essere resistenti perché da un punto di vista metabolico sono, per esempio, dei metabolizzatori veloci; quindi a volte ci si trova di fronte ad una pseudo resistenza: una persona non risponde ad una molecola perché non è stata trattata con la dose giusta per cui metabolizza così velocemente questo farmaco che non avrà mai livelli plasmatici sufficienti ad ottenere una risposta.

D: Quindi in casi di questo tipo è utile provare ad aumentare il dosaggio?
R: Si, però in questo caso abbiamo test per poter verificare se una persona è un metabolizzatore lento o veloce. Quindi prima di bombardarlo con una dose eccessiva si può vedere se per caso ci siano problemi di tipo farmacocinetico. Ma anche con la farmacogentica c'è la possibilità di poter stabilire se il proprio genotipo è tale per cui metabolizzo lentamente o velocemente. 

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