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di Maddalena Mapelli

Come vivere assieme? Festival della filosofia di Modena - Cristina Bianchetti

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14 settembre, 2013 - 21:24
di Maddalena Mapelli
Modena, Festival della filosofia, settembre 2013. Appunti dalle lezioni magistrali tenutesi in questi giorni a Modena, Sassuolo e Carpi.
 
Come vivere assieme? Questa la domanda, ripresa da Barthes, che Cristina Bianchetti, del Politecnico di Torino, fa propria e che vogliamo riproporre in questa rubrica perché i temi affrontati potrebbero essere confinanti con questioni legate all’abitare la rete.

L’invito quindi è di seguire gli appunti che proponiamo, relativi ad una sintesi della lezione magistrale tenuta a Modena, ma di pensare che riflessioni simili potrebbero valere anche per quelle particolari città chiuse così fortemente caratterizzate da nuove forme di condivisione che sono i social network (Facebook e Twitter per primi).

Ripercorriamo allora alcuni passaggi, sintetizzandoli, dell’intervento di Cristina Bianchetti.


Come vivere assieme?  La domanda, ripresa da Barthes, mette in gioco parole d’ordine come ecologia, frugalità, reciprocità, solidarietà, e articola modi altri di possedere.

Attraverso alcuni esempi di città condivisa - dal sobborgo ricco di una città svizzera ai nuovi agricoltori olandesi che tornano a lavorare i campi, fino alla cooperativa di Milano che trova spazio all'interno di un ex ospedale psichiatrico, dove si fa città all'interno della struttura totale dell’ex manicomio - si definiscono nuove modalità di “vivere assieme” segnate dall' abbandono di un abitare moderno.

Non c’è tuttavia un tratto unificante, che accomuni esperienze così diversificate: più che azioni collettive durature, si tratta di comunanze più o meno intenzionali, che possono anche sembrare  poca cosa, invenzione frivola di qualcuno. É interessante, tuttavia, osservare da vicino queste esperienze perché mostrano il mutamento dei valori nella società contemporanea.
Se all'individualismo è associata l'indifferenza, queste forme di sperimentazione si pongono come espressione di una rinnovata cittadinanza, di modalità di autogoverno della società civile.

Ma attenzione: lo sfondo resta uno sfondo duro, di regressione nel privato, marcato dall’ incompetenza relazionale, segnato dall’individualizzazione, dalla ritirata del welfare.
Di qui la molteplicità di questioni aperte legate allo "stare tra pochi, tra amici, tra vicini" in reti elettive e selettive, sto con chi mi pare, che escludono la possibilità che queste sperimentazioni siano “per tutti”.

Questo stare tra noi, tra pochi, entre nous, è diverso dallo stare soli e dallo stare con altri come nel passato (grande edificio, quartiere di edilizia sociale, forme di egualitarismo, di maggiore giustizia sociale). Molte di queste reti associative sono antagoniste alle istituzioni, alle norme eccessivamente dure, ipertrofiche. Non possiamo nasconderci che la contrapposizione tra regole e immediatezza cela la voglia di dare una spallata a molti dei costrutti che hanno caratterizzato la modernità.

All’interno delle reti si condividono progetti, memorie, alleanze, ma anche antagonisti e si affermano dei diritti: abitare in piccoli cerchi,  usare in modo innovativo e differente i servizi, curare lo spazio collettivo, promuovere forme di mobilità lenta, di agricoltura di prossimità, auspicare la primazia del valore d'uso sul diritto di proprietà.

Gli spazi della condivisione mobilitano quindi contraddizioni.

Come si riesce a fare città? La condivisione non agisce secondo logiche tradizionali, non segue logiche radiali, comuni alle logiche delle città del Novecento, alla logica isotropa della città diffusa, alla logica da club, esclusiva.
Si sostituisce a tutto ciò,  la logica del cumulare eccezioni, dell’osservare gli scarti, le variazioni di intensità che rendono inattuali molte immagini con cui si pensa la città.

La condivisione rivendica la non appartenenza alla città moderna che non e più quella funzionale. La mitografia potente tra polis e democrazia perde di forza.

Quali sono i nuovi rapporti tra privato e sociale? Che cos’è fare città? Siamo in una situazione ambigua, difficile: la città moderna è alle spalle ma non si dà in questi momento una città diversa. Le esperienze di “città condivisa” fanno cogliere alcuni elementi, ma non sono ancora capaci di fare città.
Barthes aveva ragione: vivre ensemble (vivere insieme) ci aiuta a porre delle domande sulla vita del contemporaneo. Ha ragione anche sul fatto di ritenere che la condivisione è fatta di azioni concrete, ben radicate nel presente, legate al pragmatismo, alla realizzabilità immediata.

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