I Peter Pan della globalizzazione
Dall'adolescenza all'età adulta oggi, nell'epoca del precariato e della globalizzazione
di Leonardo (Dino) Angelini

I vissuti del preadolescente in difficoltà

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26 dicembre, 2017 - 21:22
di Leonardo (Dino) Angelini
(Ripropongo un intervento fatto nel 1990 ad un seminario organizzato dal Comune di Reggio Emilia[1]: gli immigrati cui allora facevo riferimento erano quelli ‘interni’. L’arrivo dei migranti esterni ha reso molto più acuti i problemi già allora presenti a Reggio Emilia, come in molte altre realtà metropolitane. Dic. 2017)
 
 
A quei Presidi
che erano fieri
di essere dei veri pedagogisti,
e non dei manager
 
 
Vorrei partire con la descrizione di un caso che per la sua particolare gravità ha visto impegnati tempo fa vari tecnici: molti educatori, lo psicoterapeuta, l'assistente sociale, gli uffici di assistenza del Comune, i vari tecnici di un istituto per minori, etc. -
Si trattava di un ragazzo, che chiameremo Filippo, proveniente da una famiglia deprivata, che era venuto a vivere a Reggio E. con la madre, da una regione del Sud, quando era ancora bambino.
I due erano stati accolti, con funzioni poco chiare, all'interno di una casa in cui già vivevano un signore separato (anch'egli immigrato) insieme ai suoi figli.
 
Ne derivava una situazione di estrema confusione per cui non si capiva bene se la madre di Filippo era lì per accudire i figli di questo signore (funzione per la quale era pagata) o come convivente dello stesso, e soprattutto Filippo era posto nella condizione di non poter mai capire appieno se era lì
come ospite più o meno gradito, oppure come figliastro e fratellastro degli altri bambini presenti in casa.
 
A ciò si aggiungeva un rapporto madre-figlio molto simbiotico, che vedeva Filippo, fin dalla più tenera età come confidente della madre anche nelle questioni inerenti la vita sentimentale della donna, il suo rapporto con il padre naturale di Filippo, rapporto sul quale Filippo aveva una specie di diritto di veto, etc.
Infine l'arrivo a Reggio aveva costituito per Filippo, come per ogni altro bambino immigrato, un trauma da un punto di vista sia linguistico che culturale. Trauma accentuato, oltre che dai problemi familiari - che abbiamo appena visto - anche dal quartiere in cui questa strana coppia era venuta a
risiedere: un quartiere nuovo, senza una rete di rapporti stabili e "storici" fra vicini, con un tasso di anomia preoccupante.
 
Filippo, di fronte ad una realtà così pesante, ha reagito in periodo di latenza sedimentando un ritardo negli apprendimenti, accentuato dall’atteggiamento iperprotettivo da parte della maestra che, abbagliata dai bisogni "da bambino piccolo” di Filippo, non lo aveva accompagnato con sufficiente chiarezza dal gruppo primario al gruppo secondario, ma lo aveva coccolato, lo aveva trattato come se la scuola fosse una seconda famiglia, e solo una seconda famiglia!
 
Nonostante il ritardo negli apprendimenti Filippo ha mantenuto, per sua fortuna, una vivacità intellettuale che però era tutta impiegata per resistere contro tutti questi impatti dolorosi e destrutturanti.
 
All'inizio della preadolescenza il viraggio: all'improvviso Filippo cessa di essere un fanciullo bisognoso di coccole e di carezze, per diventare la matricola di un gruppo delinquenziale in cui comincia a sperimentare pericolosamente una serie di agiti che lo portano ben presto a sfiorare le maglie della legge.
Cosa era successo a far si che da una "crisalide" cosi tenera e intenerente emergesse una farfalla così inquietante?
 
Era successo che, sotto le potenti spinte della crisi puberale, era andato in frantumi il vecchio equilibrio che si era determinato in latenza.
 
L’assenza di modelli superegoici credibili e stabili (della madre abbiamo già detto, del "patrigno" si può dire che il suo comportamento era caratterizzato da una violenza tanto più ostentata, quanto più sostanzialmente indice di debolezza e ambiguità), unita alla presenza di un Ideale dell’Io estremamente pericoloso poiché costituito da imago provenienti essenzialmente da un padre naturale che in certi momenti veniva evocato come figura mitica che avrebbe potuto unificare la vera famiglia, in altri ricordato con astio come figura traditrice che aveva nel frattempo messo in piedi una nuova famiglia, con nuovi figli, che non lo comprendeva. Entrambe queste componenti in preadolescenza venivano a giocare un ruolo molto più distruttivo.
In latenza infatti la presenza di un Io sufficientemente forte e vivace aveva "tenuto a bada" queste componenti.
In preadolescenza l'indebolimento dell'Io, dovuta alla poderosa spinta delle componenti pulsionali, aveva trasformato queste presenze interne ed esterne come dei fantasmi troppo invasivi che andavano esorcizzati attraverso gli agiti che compulsivamente "gli veniva di fare ", e che i leader del gruppo delinquenziale lo incitavano a fare.
Anche il suo comportamento in classe era profondamente mutato: la sfida, la provocazione avevano sostituito la tenerezza e la fragilità.
 
Il lavoro psicoterapeutico, cominciato in questo periodo, era caratterizzato da un faticoso operare sul piano grafico attraverso storie e figure che rappresentavano le sue esplosioni e, ancor più, le sue implosioni, e che cominciavano a poter essere interpretate quando un fatto esterno al rapporto con lo psicoterapeuta (una visita a casa da parte della forza pubblica) rese estremamente difficile qualsiasi approccio.
Nell'arco di pochi giorni Filippo si allontanò dall‘ambulatorio e dalla scuola, rubò complessivamente un numero spropositato di oggetti, poi si eclissò per due giorni da casa ed alla fine ritornò piangente a scuola, dal preside, che con lui era riuscito a definirsi come modello genitoriale finalmente credibile ed autorevole, per chiedergli apertamente aiuto.
 
L'emergere di una parte sana che apertamente chiede aiuto, a mio avviso è stata determinante per lo sviluppo successivo di questa storia.
 
Insieme al preside ed alla assistente sociale abbiamo concordato con Filippo un suo ricovero in un istituto fuori città, dal quale poi lui è scappato per un numero considerevole di volte, finché insieme agli uffici del comune non è stato possibile affrontare e risolvere la richiesta materna di superare l'ambigua situazione di convivenza e di andare a vivere da sola con Filippo.
Anche questa richiesta era maturata nei colloqui periodici che la madre aveva con il terapeuta: anche in lei alla fine, fortunatamente, era prevalsa una parte più autonoma e più indipendente.
 
Non appena Filippo non si e sentito più in prestito a nessuno ed ha potuto riflettersi in una madre più sicura e distante (può sembrare un paradosso, ma in questo caso è così) è ritornato in città e, dopo un periodo di profonda depressione, in cui ha potuto elaborare, finalmente senza agiti, tutto ciò che derivava dalle trasformazioni avvenute in preadolescenza nel suo corpo e nella sua psiche, ha cominciato a cercare un lavoro.
Mi sono attardato nella descrizione di questo caso perché mano a mano che la storia di Filippo, rievocata dall'occasione del seminario, si andava ripresentando ai miei occhi, mi rendevo sempre più conto che essa può considerarsi come emblematica di tutta una serie di problematiche inerenti il preadolescente in difficoltà e del loro intrecciarsi sia nella psiche del ragazzo, sia nel rapporto che il ragazzo e la famiglia intraprendono con le varie istituzioni sanitarie, educative, assistenziali.
 
La deprivazione familiare, lo svantaggio socioculturale, con i più o meno gravi problemi connessi sul piano della rappresentazione del Sé del preadolescente, l'immigrazione con i suoi problemi di impatto, e di separazione dal luogo di provenienza, dalla propria lingua, dalla propria cultura, l‘arrivo in un quartiere nuovo in cui per tutti manca una rete "storica" di rapporti che possa supportare la famiglia in difficoltà, l'assenza o la scarsa consistenza di luoghi di aggregazione e di socializzazione extra-familiare: tutti questi problemi hanno un risvolto sociale che implica la necessità di un lavoro di prevenzione e di pianificazione degli interventi.
Ad esempio oggi[2] molti quartieri periferici a mio avviso stanno diventando pericolosamente luoghi di questo genere. E allora mi chiedo, ad es., cosa è stato fatto sul piano della pianificazione urbanistica per evitare o per lo meno attutire l'emergere di luoghi "a rischio"?).
Un risvolto sociale, ma anche un risvolto sul piano della salute mentale nella misura in cui i livelli di sofferenza individuale che ne derivano superano la soglia media di sofferenza che normalmente qualsiasi preadolescente deve sperimentare lungo il processo di crescita e di totale ridefinizione di sé cui va incontro in questi anni critici.
 
Ma il viraggio di Filippo da bambino tenero e bisognoso in preadolescente ad alto rischio ci deve far pensare anche a quanto lavoro può esser fatto in sede educativa nel periodo di latenza ed anche in I e II infanzia, sapendo cogliere i segnali che il bambino ci lancia, che non è detto siano i sintomi di una patologia eclatante, ma che sempre sono il frutto di uno sforzo in cui le parti sane del Sé tentano di rimediare ad una situazione di sofferenza che deriva dalla presenza di parti malate, inadeguate, troppo invasive e destrutturanti.
 
Il prevalere degli agiti ed il rinforzo che tali agiti hanno ricevuto nel gruppo di tipo delinquenziale a prima vista sono i segnali più inesplicabili (oltre che più irritanti) che ci vengono dal preadolescente in difficoltà. Per cui si può dire che spesso il preadolescente in difficoltà ha dei vissuti che sono pochissimo “vissuti” poiché scatta in lui il cortocircuito irriflessivo dell’agito che annebbia le nostre capacità di comprensione anche perché ci rende poco disposti a comprendere, a causa della sua intrinseca e spesso estrinseca provocatorietà.
Ma pro\vocare implica un "vocare" che, come suggerisce Winnicott, va inteso come "SOS di un bambino malato", come linguaggio cifrato all'interno del quale c'è una richiesta d'aiuto.
 
Filippo e stato fortunato in questo: perché a un certo punto, dopo l‘intensificarsi degli agiti e la fuga da casa, è prevalsa in lui una parte più disponibile ad accogliere la colpa e "i primi impulsi alla riparazione". Per cui il suo "help" e stato esplicito e non cifrato e noi (lo psicoterapeuta, il preside, la scuola, la padre) abbiamo potuto comprenderlo ed aiutarlo.
In altri casi la "vocatio" e più criptica, l'help è più irritante e molto meno invogliante a dare una mano; ma è  di qui che occorre passare sia in sede psicoterapeutica, che educativa o assistenziale: da una disposizione all'ascolto ed alla comprensione. E se a un certo punto ogni setting territoriale salta, come è accaduto, a un certo punto nel caso di Filippo, occorre che vi siano luoghi terapeutici in cui il preadolescente possa essere ascoltato e compreso (e non è detto che tali luoghi debbono avere caratteristiche sanitarie, anzi!).
Le trasformazioni che intervengono nel mondo rappresentazionale del preadolescente, a seguito della crisi puberale, rendono difficoltoso per tutti il processo che lentamente porta alla (nuova) integrazione delle varie parti della personalità, che sono come squassate dal magma incandescente della pulsionalità.
Il fatto e che il preadolescente a rischio non sia in grado di ri\costruire un terrapieno che regga e contenga a sufficienza la spinta della nuova colata lavica (che fa seguito a quelle poderose della I e della II infanzia e che in latenza si era un po’ "ingrottata").
Non lo è per svariati motivi:
- intanto perché non c'è stato spesso un adeguato terrapieno in I e II infanzia, non c'è quindi un nodello su cui ri\costruire;
- in secondo luogo perché le forze dell'Io sono spesso consunte in una difesa sfibrante, che è proseguita per tutta la latenza, contro le parti angoscianti e destrutturanti che vengono dall'ambiente primario (e, a volte secondario, come e avvenuto a Filippo in scuola elementare);
- e poi sia il personaggio tenuto che il personaggio amato (Super- Io ed Ideale dell'Io)sempre in questi casi non si sono formati a sufficienza, non sono stati introiettati, o lo sono stati sotto forma di personaggi ad alto tasso di mitizzazione, e perciò irrealistici, spesso contraddittori, troppo severi e troppo tolleranti nello stesso tempo, etc.-
Questo per ricordare alcune delle cause che fanno si che il terrapieno dell'Io ,la sua forza di mediazione e di contenimento, spesso ceda e, per evitare il dolore che deriva dalla presenza di personaggi interni angoscianti e destrutturanti, il ragazzo ecceda negli agiti più o meno delinquenziali, che perciò vanno visti come difese e come richiesta di aiuto.
 
Infine il gruppo esterno: anche in questo il caso di Filippo è emblematico.
E‘ noto che il gruppo è uno dei ponti che permette al preadolescente di crescere, di "uscire" dalla famiglia.
E‘ dai molteplici rispecchiamenti che nel gruppo è possibile fare che il ragazzo si può arricchire e ri\conoscere nelle varie sue parti.
Ma il gruppo delinquenziale non permette una molteplicità di rispecchiamenti, e al contrario impone una mono\tonìa che alla fine impoverisce in quanto che permette solo un tipo di rispecchiamento: quello che viene dal machismo, dalla cultura dell'agito, dal purismo ‘mafioso’ centrato sulla fedeltà all'alleanza "a delinquere”.
Anche su questo piano educatori, social worker e psicoterapeuti - ognuno nel proprio campo - possono concorrere sia sul piano della prevenzione che della "cura" per tentare di rimettere in circolo una pluralità di rispecchiamenti che arricchisca il preadolescente, e non lo ‘fissi’ in maniera monocorde a rimorchio del leader delinquenziale.

 
 
 
 

[1] Intervento al convegno: "Minori a Reggio E.: sofferenza e  potenzialità / Progetto educativo integrato, 1990
 
[2] cioè nel 1990, ma la domanda oggi (2017) rimane attuale e anzi appare molto più drammatica, praticamente in tutta la città di Reggio Emilia
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