IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

Freud e la lezione della scienza

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10 febbraio, 2018 - 09:33
di Antonello Sciacchitano

 
Sono moderatamente convinto che Freud sia stato più medico che uomo di scienza. Lo affermo in base alla premessa che la medicina non sia scienza; anche se applica tecniche scientifiche, ingegnerizzate a fini terapeutici, la medicina ha un fondamento vitalistico che la separa dalla scienza moderna. Sostanzialmente ritengo che Freud sia stato prevalentemente medico nell’approccio metapsicologico, cioè nella dottrina e nella pratica da lui fondate sul principio ippocratico di ragion sufficiente, che suppone cause che producono effetti psichici come gli agenti morbosi producono malattie. Le cause metapsicologiche si chiamano “pulsioni” – die Triebe, termine che secondo Freud le altre lingue invidierebbero alla tedesca. Le pulsioni sessuali e la pulsione di morte hanno funzioni di causa sia efficiente sia finale, secondo la classificazione aristotelica. Le pulsioni sessuali producono, se la producono, soddisfazione sessuale, che è anche la loro finalità, la loro meta, das Ziel. La pulsione di morte produce la ripetizione mnestica del trauma, al fine di ridurre l’eccitazione psichica prodotta dal trauma, quando la riduce. Le pulsioni sono forze costanti, congrue a uno scopo vitale. Fanno vivere come l’oppio fa dormire. Il Freud metapsicologico è vitalista, quindi non è (molto) scientifico.

Ragionando in termini di causa ed effetto si fa dello storicismo; si prolunga la scienza storica iniziata da Erodoto e Tucidide, che diventa cognitivismo, una volta azzerata la dimensione temporale nell’hic et nunc. Con l’approccio eziologico non si fa la scienza meccanica, inaugurata da Galilei, ma si prolunga l’antico scire per causas. La frattura tra i due approcci scientifici – storicistico e meccanico ­­– è netta: la scienza storica è orientata in senso idealistico. Presuppone schematismi eziologici ideali che promuovono l’essere nel divenire, la vita nella storia. La scienza meccanica, invece, è atomistica e meccanicistica. Non presuppone entità ideali ma particelle elementari che interagiscono tra loro localmente, producendo effetti globali. Epicuro pensava al clinamen delle traiettorie atomiche; Newton concepiva l’azione e la reazione uguale e contraria di un corpo sull’altro. La scienza storica – più antica – assume come proprio asse la diacronia narrativa, dove racconta in modo quasi romanzato la successione degli eventi (i movimenti dell’essere). La scienza meccanica – più moderna – pone il proprio baricentro nella sincronia, dove stabilisce a livello locale (molecolare, direbbero Deleuze e Guattari) certe interazioni tra componenti elementari di un modello che esibisce un risultato globale (molare, direbbero ancora i suddetti), approssimabile con il calcolo. Romanzo (immaginario) vs modello (simbolico), è difficile pensare a una maggiore differenza (reale).
A quale scienza apparterrebbe Freud? Non è facile decidere. La sua posizione epistemologica è ambigua; sta alla frontiera tra i due approcci scientifici, l’antico e il moderno. Il Freud metapsicologico apparterrebbe alla scienza storica: le sue costruzioni in analisi, i suoi casi clinici – “che si leggono come novelle che mancano del marchio della scientificità”, come riconobbe lo stesso Freud – sono ricostruzioni storiche dell’evoluzione soggettiva nei termini ideali fissati da certi miti, l’edipo e la castrazione. Ma Freud non è tutto lì. È vero che nell’incipit del saggio del 1913 sull’Interesse alla psicanalisi Freud dichiarò che la psicanalisi è una tecnica medica per curare le nevrosi, ma è anche vero che nella postfazione alla Questione dell’analisi laica del 1927 ebbe qualche ragione per esprimere la preoccupazione che la terapia “uccidesse” la scienza psicanalitica.

A più riprese Freud si riferì alla psicanalisi come alla junge Wissenschaft, giovane scienza, nel senso di ultima nata tra le scienze. Nel seguito il mio discorso ruoterà intorno all’ultima lezione introduttiva alla psicanalisi, generalmente poco citata dagli epigoni (per es. Lacan non la menziona né negli Scritti né nei seminari), la XXXV, dedicata alla Weltanschauung scientifica, la concezione che la scienza ha del mondo; lì Freud prende una posizione netta, che non dovrebbe lasciare molti dubbi. Per esempio, non parla più di metapsicologia. Ne segnalo la mia recente traduzione, che si avvale delle traduzioni di Ermanno Sagittario, alias Paolo Boringhieri, ed Edoardo Weiss, al seguente indirizzo: https://www.analisilaica.it/2018/02/05/la-psicanalisi-la-weltanschauung/. Personalmente in questo testo ritrovo il Freud che più mi piace, quello scientifico che cerco di liberare dalle pastoie metapsicologiche in cui si è impegolato; vi ritrovo il Freud potenzialmente galileiano, pur senza conoscere il Galilei delle “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni”.

Forse è il caso che non sorvoli sulla piccola punta polemica sottostante alla scelta di questo testo, dove
Freud mette a tema i rapporti tra scienza e psicanalisi. Ebbene, devo far notare che, presentandolo nelle Opere di Sigmund Freud, Cesare Musatti ci informa che Freud discute i rapporti tra psicanalisi, religione e filosofia, in particolare criticando il marxismo. Non è sbagliato; Freud fa anche questo, ma non è tutto. Musatti non accenna alla scienza, neppure alla scienza psicologica. La dà per scontata in psicoanalisi? Dubito. Sembra che non voglia sentirne parlare, neppure se ne parla Freud. Sembra mettere la psicoanalisi sullo stesso piano della filosofia. La cosa certa è che gli psicanalisti, a cominciare da chi si è autodefinito padre della psicanalisi italiana, non amino riferirsi alla scienza, presi come sono dalla letteratura dei romanzi familiari dei propri singoli pazienti, trascurando la dimensione collettiva dell’evento nevrotico o psicotico individuale. (Viceversa i letterati sono attirati dai Racconti analitici, antologizzati da Lavagetto proprio sotto questo titolo per Einaudi). La psicoanalisi ufficiale è incline alla letteratura ed è sorda alla scientificità galileiana. Il punto è proprio questo: la resistenza a Galilei non è estranea al caso di Freud e successori. (Freud non aveva le opere di Galilei in biblioteca). Più in generale la resistenza alla scienza non è estranea alla cultura occidentale sin dai tempi del processo a Galilei (1633). Persino Freud lo riconosce in questa lezione: alla scienza galileiana ci si oppone per ragioni affettive, perché non tratterebbe la soggettività umana – la tua, la mia –, che proprio la psicoanalisi recupera. Ma forse neppure tale recupero basta, se è vero che si resiste anche alla psicoanalisi, proprio perché è scientifica in partenza.

Freud inaugura la sua ultima lezione interrogandosi sull’esistenza di una concezione scientifica del mondo. Nelle prime righe si chiede se la psicanalisi possa avere una concezione del mondo; risponde negativamente, affermando che la psicanalisi non può averne una propria; può avere solo quella scientifica. Freud sostiene che la scienza abbia una sua specifica concezione del mondo. L’affermazione mi lascia perplesso. Per quanto ne so, mi sembra che la scienza non possieda concezioni del mondo. Sospetto che le concezioni del mondo siano di esclusiva pertinenza di religione e filosofia, che vogliono spiegare tutto e convincere tutti imponendo un unico catechismo. Lo dico per le stesse ragioni freudiane, chiaramente espresse nella lezione cui mio riferisco.
Cosa si intende per concezione del mondo? Risponde Freud: “Penso che una Weltanschauung sia una costruzione intellettuale che risolva in modo unitario tutti i problemi della nostra esistenza, partendo da un presupposto generale, al cui interno nessun problema rimane aperto e tutto ciò che ci interessa si trova a posto”. Sono così configurate le concezioni del mondo filosofiche e religiose; la concezione del mondo scientifica è secondo Freud diversa: “La concezione scientifica del mondo si distanzia già in modo significativo dalla nostra definizione. Ammette la spiegazione unitaria del mondo, ma solo come programma la cui realizzazione è spostata al futuro. Per altro si contraddistingue per caratteristiche negative: la limitazione a quanto è attualmente riconoscibile e il netto rifiuto di certi elementi a lei estranei. Sostiene che non esiste altra fonte di conoscenza del mondo diversa dall’elaborazione intellettuale di osservazioni accuratamente accertate – si chiama ricerca; oltre a questa non c’è conoscenza per rivelazione, intuizione o divinazione”.

A mio parere proprio questo è il punto debole dell’argomentazione freudiana, per altri aspetti, soprattutto su religione e filosofia, serrata e convincente. Attualmente in fisica e in biologia non esistono rappresentazioni del mondo né unitarie né complete, neppure proiettate in un prossimo futuro. Alla fine della sua lezione lo riconosce anche Freud: “La Weltanschauung scientifica tuttavia non merita questo nome altisonante, perché non riguarda tutto; è troppo incompleta; non ha pretese di compattezza né di formare sistema. Il pensiero scientifico è ancora troppo giovane tra gli uomini; di troppi grandi problemi non è ancora riuscita a venire a capo”.

Infatti, oggi la fisica è spaccata in due tronconi: la meccanica quantistica e la fisica relativistica non sembrano prossime a unificarsi. Senza contare che nel quadro manca all’appello il 63% della materia e dell’energia di tutto l’universo, che sarebbe formata da materia ed energia “oscura” (che non emette radiazioni elettromagnetiche e quindi non si “vede”, ma si “sentono” i suoi effetti gravitazionali), per la quale il Modello standard delle particelle elementari non offre ancora giustificazioni.
In biologia evoluzionistica non siamo messi meglio. Non si sa se nell’evoluzione della vita prevalga la selezione ambientale, che agisce riducendo variabilità genetica individuale, o se esista una specifica forza evolutiva. Concretamente non si sa ancora come correlare la selezione individuale alla selezione di gruppo di specie e generi. Come c’entra la sessualità in tutto l’ambaradan? Purtroppo Freud non era aggiornato sullo sviluppo della scienza del suo tempo. Quando scriveva i Tre saggi sulla teoria sessuale, non sapeva che erano stati riscoperti i testi di Mendel della nuova genetica. Per lui la genetica rimase sempre psicogenetica. Freud non citò mai Mendel.

Insomma, è ostica da accettare questa banale verità, che pur piccola alimenta una grande ostilità alla scienza: la scienza non è metafisica. Non possiede certezze incontrovertibili, ultime e categoriche. Ne consegue che la scienza è poco amata, perché non dà garanzie sufficienti a formulare affidabili programmi di vita. Per esempio, a differenza delle dottrine magistrali, la scienza non offre direttive professionali sufficienti ma solo necessarie. L’atteggiamento scientifico è ben descritto da Cartesio, il quale parte dal dubbio che tutto il verosimile, tutto il contingente, tutto ciò che può essere e può non essere, sia falso. Da lì si può cominciare a ridurre l’incertezza originaria “con rifiuti e confutazioni”, ma senza accettare l’aiuto esterno della fede. Freud, che sembra accettare le tesi falsificazioniste di Popper, all’epoca operante a Vienna, dice: “Si chiama ricerca [scientifica]; oltre a questa non c’è conoscenza per rivelazione, intuizione o divinazione”.

Il Freud di quest’ultima lezione sembra scientifico nel senso moderno – cartesiano – del termine. Senza mezzi termini denuncia la resistenza del suo tempo alla scienza: “Il nostro secolo trovò la presuntuosa obiezione che tale concezione [scientifica] del mondo fosse misera e sconfortante, non considerando le pretese dello spirito e i bisogni dell’anima umana”. E, rivolto ai fenomenologi che ancora oggi polemizzano contro il supposto riduzionismo scientifico, confondendo scientificità con positivismo, continua così: “Non c’è energia che basti a respingere tale obiezione! È del tutto infondata; infatti spirito e anima sono oggetti della ricerca scientifica esattamente come qualunque oggetto estraneo all’uomo. La psicanalisi ha qui uno speciale diritto a farsi portavoce di una visione scientifica del mondo, perché non si può rimproverarle di aver trascurato lo psichico nella sua immagine del mondo. Il suo contributo alla scienza consiste proprio nell’aver esteso la ricerca [scientifica] al campo psichico”.
Allora per coerenza si dovrebbe estendere la ricerca scientifica al campo psicoanalitico, sottoponendo a critica anche la metapsicologia freudiana. Questo Freud non lo fece mai; i suoi epigoni neppure. Possiamo farlo noi, preoccupati come siamo di non uscire dal solco freudiano?

Certo, le pulsioni freudiane, intese come forze costanti non hanno alcun corrispettivo biologico. In biologia non esistono forze costanti, ma solo variabili. Questa non sarebbe ancora una confutazione, perché la psicanalisi, se fosse scientifica, non sarebbe certo una scienza biologica, una neuroscienza, come oggi si ama pensare. Tuttavia dovrebbe bastare a stimolare la riflessione sullo statuto scientifico della psicoanalisi, che non sarebbe solo una scienza storicistica delle cause psichiche, ma potrebbe essere una scienza delle interazioni psichiche intrasoggettive e intersoggettive.

Bisogna riconoscere che sull’intrasoggettività Freud la sapeva lunga, come testimoniano le sue topiche, prima e seconda. Sull’intersoggettività la riflessione freudiana è invece di corto respiro. La sua Massenpsychologie è una semplice estensione della psicologia individuale, basata sull’identificazione di tutti all’uno, il Führer. Si può fare di meglio; noi freudiani possiamo fare di meglio, per esempio, aprendoci al dialogo con i psicologi sistemici.

Naturalmente, senza perdere la nostra specificità. Non tutto è confutabile in una scienza, quindi anche in psicoanalisi. Ci sono, infatti, alcuni punti fermi da cui la scienza psicanalitica “deve” partire. Sono loro a caratterizzare la scientificità psicanalitica, esattamente come il principio d’inerzia – di per sé inconfutabile – caratterizza la scientificità della nuova meccanica galileiana e ne permette gli sviluppi newtoniani. In questo senso ci sono assiomi fecondi e assiomi sterili. Il primo punto assiomatico fecondo da richiedere alla scienza psicanalitica è l’esistenza dell’inconscio, inteso paradossalmente come sapere senza autocoscienza, cioè sapere che non si sa di sapere. Aggiungerei poi due assiomi freudiani caratteristici: l’esistenza della rimozione originaria e l’acquisizione differita di parte del sapere inconscio.

Grazie alla rimozione originaria, formata da rappresentazioni psichiche che non arriveranno mai alla coscienza, perché radicalmente collettive prima che individuali, la psicanalisi condivide con le scienze moderne lo statuto di incompletezza, che anche in futuro non si completerà mai (incompletezza essenziale), nonostante ogni progresso scientifico. Ribadisco: la scienza non è metafisica; il suo regno non è la certezza ma l’incertezza, su cui opera con metodi probabilistici. Lasciamo le certezze categoriche a filosofi, preti e loro adepti.

Grazie all’acquisizione differita del sapere inconscio, in psicoanalisi c’è spazio per il lavoro analitico,
che ora può essere collettivo oltre che individuale. Può essere scientifico in senso moderno, elaborando modelli intersoggettivi prima che romanzi individuali.

Detto questo, riesco a convincermi che si possa considerare Freud anche come uomo di scienza, oltre che come medico e terapeuta, anche se come molti scienziati – l’elenco è lungo già nelle scienze dure: Newton, Einstein, Darwin… quasi che si potesse fare scienza malgrado i propri pregiudizi – anche Freud resisteva alla scienza che egli stesso praticava. Sembra di poter concludere che la pratica scientifica sia per l’uomo una pratica innaturale, osteggiata in tutto o in parte da tutta l’umanità, uomini di scienza compresi.

Dal punto di vista psicopatologico l’antitesi della scienza è la paranoia, che non ammette confutazioni: nel delirio tutto conferma l’idea delirante, che è incontrovertibile, anche se è illusoria. Perciò i paranoici amano il loro delirio come sé stessi. Vuol dire che la paranoia è la psicosi “normale”, la malattia mentale “metafisica” dell’essere parlante? Non è azzardato argomentare che l’uomo, proprio perché parlante, si trova – si è sempre trovato – più a suo agio con la poesia, la letteratura e la fantasia, che con la scienza che parla la lingua matematica. Freud non fece eccezione: dell’estetica matematica recepì solo la rozza numerologia del suo amico otorino. L’editor di questa rivista ha inventato una rubrica molto seria, spiritosamente intitolata: “Una poesia al giorno toglie l’analista di torno”. Voglio ricordargli che vale proprio il contrario; la poesia attira l’analista come il miele attira le mosche, proprio perché (apparentemente) non è scientifica.

Concludo questo post imitando Freud, che nella lezione citata si sbilancia nella critica al marxismo, inteso come religione, e tira in ballo la collettività. Non condivido la posizione freudiana, per cui la sociologia sarebbe psicologia individuale applicata. La considero una posizione riduttiva. Ma dall’argumentieren freudiano traggo una morale semplice e indipendente dal riferimento marxiano: se – e sottolineo se – la psicanalisi sarà una scienza, non potrà trascurare la dimensione del soggetto collettivo. Non tanto perché nel collettivo prevalgono i fattori economici, ma proprio perché i fattori economici, pur determinanti, sono a loro volta determinati dalla psicologia collettiva, come sostiene Freud in questa lezione. Il lavoro da fare è allora di attrezzare il freudismo con una psicologia più ricca della Massenpsychologie freudiana. Non sembra lo stesso Freud, autore di quella psicologia, quello che esprime la seguente raccomandazione: “Infine non vogliamo dimenticare che al di sopra della massa degli uomini, soggetta alle necessità economiche, decorre anche il processo dello sviluppo civile – della civilizzazione, dicono altri – che è certamente influenzato da tutti gli altri fattori, ma certamente all’origine è da loro indipendente, paragonabile a un processo organico, che a sua volta è perfettamente in grado di interagire con gli altri fattori”. Freud prefigura qui una psicanalisi delle interazioni collettive (Mitwirkungen), molto vicina all’approccio sistemico, da ripensare in psicoanalisi come compito autenticamente scientifico. Freud lo precisa ancora meglio: “Sembra inoltre che il progressivo rafforzamento dello spirito scientifico sia una componente essenziale di tale processo [di sviluppo civile]”. Insomma, Freud esorta gli psicanalisti a impegnarsi in una psicanalisi più civile, prima che più scientifica, anche se eventualmente meno terapeutica nel senso medico del termine.
 

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Quale Editor della rivista mi permetto di consigliare ai lettori di andare seguendo il link all'indice della Rubrica (e questo vale per tutte le Rubriche di Psychiatry on line Italia) onde scoprire se non lo si è ancora fatto gli altri contributi che rappresentano un corpus che merita di essere scoperto.
Ho notato (i counter son ormai molto raffinati e ci dicono assai delle abitudini dei lettori senza scomodare il grande fratello) che molto spesso la lettura di un pezzo è SINGOLA con successiva uscita qunado in realtà il vero arricchimento per chi legge sarebbe scoprire l'evoluzione del pensiero dell'autore che nel tempo ha pubblicato pezzi con un "razionale" comune che meriterebbe di essere scoperto e aprezzato.

Effettivamente la lezione della scienza è l'unica che riesco ad ascoltare. Soprattutto in un momento come questo dove psicoanalisti girano il mondo rilasciando perle di ritrita saggezza, e chiamano questi riti col nome medievale di Lectio Magistralis. La scienza, o meglio l'ipotesi di una ricerca scientifica, per la psicoanalisi è l'unico balsamo possibile contro la dittatura delle dottrine (nel caso specifico del lacanismo attuale il male si chiama logocentrismo). "Dateci un pò di possibile !!" urlava Deleuze. Questo è il punto: ricercare scientificamente significa avere domande, questioni, dubbi, incertezze: aprire il campo delle possibilità, dell'altrimenti, del contingente, del terzo escluso, formulando ipotesi alternative. Come dice Sciacchitano, Cartesio e Galilei ancora insegnano, purtroppo non hanno insegnato a Freud. Di certo Freud (certo non tutto Freud) non era dentro la scienza moderna. Ecco: riprendere il non detto, o il "mi-dire" (direbbe Lacan) di Freud, e lavorare ciò che ancora dal lavoro di Freud chiede vendetta: appunto l'approccio scientifico......Questo sarebbe il ritorno DI Freud, il ritorno del rimosso di Freud.....in direzione contraria e avversa ad ogni ritorno dottrinario A Freud. Perché oggi non di scienza ma di dottrina freudiana si tratta; e come per ogni dottrina ci troviamo di fronte all'inverso della scienza: la paranoia collettiva e individuale che sono la camicia di forza della res cogitans.....


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