PSICOPATOLOGIA SESSUALE
Sessualità e disturbi psicosessuali
di Stefano Sanzovo, Carlo Rosso

Le disfunzioni sessuali secondo il DSM5

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5 dicembre, 2013 - 13:20
di Stefano Sanzovo, Carlo Rosso

L'American Psychiatry Association (APA) ha di recente pubblicato l'ultima edizione del  Manuale Statistico Diagnostico (DSM 5) dei Disordini Mentali. In concomitanza con questo evento, di grande rilievo scientifico per la comunità psichiatrica internazionale, la Società Italiana di Psichiatria (SIP) ha organizzato a Firenze un interessante convegno per presentare e discutere le più significative innovazioni introdotte nel manuale. Tuttavia, nessun focus è stato attuato sulle modifiche intercorse nell'ambito della nosografia dei disturbi del funzionamento sessuale. In questo e nel successivo post effettueremo un aggiornamento al riguardo.
A differenza della precedente edizione, nel DSM 5 i disturbi sessuali non sono più conglobati in una stessa categoria ma in tre categorie distinte: le Disforie di Genere, le Parafilie, le Disfunzioni Sessuali. Per ciò che concerne questa ultima categoria si è indebolito il rapporto con il ciclo della risposta sessuale che ha determinato nelle precedente edizione del manuale la suddivisione delle disfunzioni in tre aree  disfunzionali distinte rispettivamente del desiderio, dell’eccitazione, dell’orgasmo. Al contrario, la recente letteratura ha dimostrato che la risposta sessuale non è un processo lineare ed uniforme, e la distinzione dei disturbi in funzione delle fasi (ad esempio desiderio ed eccitazione) può essere artificiosa. Per ciò che concerne le disfunzioni del sesso femminile queste sono state unite nel disturbo unico del desiderio sessuale e dell’eccitazione sessuale femminile. Anche il vaginismo e la dispareunia sono stati conglobati nel disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione.
È stato aggiunto un nuovo disturbo, l’eiaculazione ritardata, in cui si deve sperimentare marcato ritardo o assenza d’eiaculazione, in quasi tutte le occasioni di attività sessuale con un partner, senza che il soggetto lo desideri. Bisogna essere in questi ambiti molto attenti alla diagnosi differenziale con altra condizione medica (neuropatie periferiche, patologie della prostata, ecc.) o a disturbo simile ma indotto da sostanze.
Vengono mantenuti il disturbo erettile, il disturbo dell’orgasmo femminile, il disturbo del desiderio ipoattivo maschile, l’eiaculazione precoce.
Il disturbo da avversione sessuale è stato abolito dalle categorie principali e relagato in "altre disfunzioni sessuali specifiche".
Per aumentare la precisione e ridurre sovrastime, le disfunzioni devono avere una durata minima di sei mesi, ad eccezione di quelle secondarie all’uso di sostanze psicoattive. E’ stata abolita la distinzione tra disfunzioni legate a fattori biologici o a fattori psichici, convenendo che spesso entrambi questi aspetti ne prendano parte.
Ancora una volta però la raccomandazione è quella  di considerare i sintomi sessuali come disturbi psichici solo dopo aver escluso ogni componente organica. La collaborazione tra specialisti diventa quindi ulteriormente valorizzata.
 
Bibliografia
American Psychiatric Association Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, fifth edition, APA 2013.
 

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Commenti

Molto sintentico come riassunto... mancano tutte le polemiche "nazionaliste" che ci sono state dietro, ma soprattutto ci si dimentica che in Italia si usa l'ICD IX che è un bel po' distante da questo manuale americano e che siccome politica e realtà sociali sono ben diverse, davvero non si capisce in che ambito si userebbero queste o quelle categorie se non in caso di perizie giuridiche...

Per mia esperienza il disturbo della funzione sessuale femminile, comunque la si voglia chiamare, dipende spesso da un'incapacità ad accettare il proprio lesbismo in cambio di una radicazione socio-familiare che può esplodere dopo la menopausa in rifiuto del rapporto col marito con tutte le varie e romanzesche conseguenze del caso.
Avere rapporti con donne è considerato egoista o immorale e contravviene al desiderio culturale e forse anche biologico di avere una prole, soprattutto nelle donne che oggi sono già anziane.
Qualcuna però lo ammette, anche se comnque preferisce la posizione narcisista oppositiva, per mantenere il ruolo socio-familiare di madre e di nonna, oppure per garantirsi amicizie ambivalenti con altre donne senza compromettersi dal punto di vista fisico e relazionale.

Siccome si può sempre "scegliere" di non cedere agli istinti, la condizione nevrotica conseguente può essere nominalmente considerata diversa dallo psicoterapeuta, per non compromettere la relazione medico-paziente o psicologo-cliente con argomenti sicuramente controversi.

Grazie per il tuo commento. In alcuni casi considerare un disturbo della funzione sessuale femminile come un'incapacità ad accettare il proprio lesbismo può essere un' ipotesi azzardata da pensare e ancora di più da restituire. E sulle disfunzioni dopo la menopausa gioca un ruolo importante anche la caduta ormonale.
Sono d'accordo con te sul fatto che il riassunto sia sintetico. Lo è volutamente, avendo voluto considerare solo la differenza tra le due classificazioni e cercando, come vuole anche lo stesso DSM V, di essere il più ateorici possibili. Anche se, come ben sottolinei nel tuo intervento, questa è spesso un'utopia.


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