IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

Debugging Freud o la doppia incertezza

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18 febbraio, 2021 - 11:01
di Antonello Sciacchitano
Se non si potesse, o non si volesse guardare in nuove direzioni, se non si avessero dubbi, o non si riconoscesse il valore dell’ignoranza, non si riuscirebbe ad avere idee nuove. Non ci sarebbe nulla che varrebbe la pena verificare, perché sapremmo già cos’è vero e cos’è falso. Quindi ciò che oggi chiamiamo “conoscenze scientifiche” è un corpo a diversi livelli di certezza: alcune assai incerte, altre quasi sicure, nessuna certa del tutto.
Richard Feynman

 
Incertezza della morte

Stimolato da Francesco Bollorino, mi sono di recente dedicato a tradurre in versione più snella e meno sabbiosa dell’ufficiale la perla della produzione letteraria freudiana, intitolata Das Unheimliche. Si può leggere il risultato al link: http://www.psychiatryonline.it/node/9045.

Durante la traduzione mi ha sorpreso trovare nell’incomparabile testo freudiano due “bachi”, due bug si dice in informatichese. Il primo è ben circoscritto e facilmente localizzabile in due righe, il secondo è più lungo e strisciante in tutto il testo, più simile a un verme che a un baco. Dopo il primo, sulla particolare incertezza della morte, del secondo, sulla generale incertezza intellettuale, parlerò in seguito, come tema specifico di questo post.

“La nostra biologia non è ancora riuscita a decidere se la morte sia il destino necessario di ogni essere vivente o solo un caso regolare ma forse evitabile all’interno della vita.”[1]

Il baco è inspiegabile altrimenti che per la fretta di consegnare il testo all’editore prima delle vacanze estive. Resta però da dire, in generale, che Freud non era aggiornato sulla scienza del suo tempo. Grazie alla scoperta (all’invenzione?) dell’inconscio, fu un genio scientifico ma, come molti geni, ad es. Einstein, che non ammise mai l’indeterminismo della meccanica quantistica, anche Freud fu corazzato da una poderosa volontà d’ignoranza scientifica, di cui a un secolo di distanza ancora noi freudiani paghiamo il debito. Due esempi sconcertanti del singolare scotoma: Freud non citò mai né Galilei né Mendel.

La figura di Leonardo, propriamente non uno scienziato ma, oltre che sublime pittore, abile ingegnere, costruttore di macchine teatrali, offuscò a Freud quella di Galilei; certamente Leonardo non fu un fisico moderno. Al museo vinciano di Vinci mi stupì vedere un modello ligneo di bicicletta, costruito su disegni di Leonardo. Aveva il manubrio fisso. Non poteva funzionare, perché non consentiva di sfruttare l’effetto giroscopico della ruota anteriore, per cui pedalando si corregge la tendenza della bicicletta a cadere a destra, ruotando il manubrio a destra e la tendenza a cadere a sinistra ruotando il manubrio a sinistra. Certo, un artista può sedurre più di un uomo di scienza.

L’assenza in Freud di riferimenti al pensiero galileiano consegue alla sua superstizione eziologica, per cui ogni effetto psichico ha una causa; il pregiudizio gli impedì di concepire fenomeni senza causa del tipo moto inerziale. Così andò anche per l’eterna ripetizione dell’identico. Nei processi stocastici poissoniani non c’è bisogno di ipotesi eziologiche per spiegare che ci saranno sempre morti per calcio di cavallo in cavalleria come automobili al casello dell’autostrada; basta che gli eventi ripetitivi siano indipendenti, cioè uno nonsia causa del successivo, e abbiano probabilità costante. Certo, la pulsione di morte fa capire la ripetizione meglio del modello matematico ma non la spiega. La tautologia – spiegare la vita con lo slancio vitale – è tipica dell’approccio vitalista.

Non meno stupefacente è la mancanza nelle Sigmund Freud gesammelte Werke di riferimenti a Mendel, i cui saggi, che inaugurarono la moderna genetica, furono riscoperti mentre Freud scriveva Tre saggi sulla teoria sessuale, non paragonabili a quelli di Mendel per portata scientifica. Credo di sapere la ragione dello scotoma di Freud nei confronti della genetica, che per lui rimase sempre la psicogenesi dell’evoluzione dell’Io lungo le fasi libidiche: orale, anale e fallica. È una ragione non molto diversa da quella che giustifica lo scotoma della meccanica galileiana; riguarda anch’essa il determinismo. Ai suoi tempi in meccanica quantistica Heisenberg formulava il principio d’indeterminazione. Come Einstein, Freud non voleva saperne d’indeterminismo. “La psiche non gioca a dadi”.

Intesa come genetica delle popolazioni, la mendeliana è una scienza stocastica: stabilisce le probabilità degli esiti degli incroci. La vera carenza scientifica freudiana fu, infatti, il rifiuto della probabilità, nella forma stabilita da Pascal e Fermat nella loro corrispondenza del 1654, due secoli prima che nascesse Sigmund.[2]Nella metapsicologia freudiana non esiste la casualità; esiste la causalità: ogni effetto psichico è determinato in modo univoco e senza incertezze da una causa ben precisa, la pulsione, der Trieb. In soldoni, non puoi dire un numero a caso[3]senza che lo psicanalista non trovi a monte un movente edipico che giustifichi la tua scelta (v. http://www.psychiatryonline.it/node/7168 su Freud e il determinismo). Basta ricordare l’inizio del cap. 12 della Psicopatologia della vita quotidiana, intitolato Determinismo, credenza nel caso e superstizione, che esclude dalla teoria psicanalitica ogni deriva indeterministica e pone sullo stesso piano superstizione e giudizio di probabilità: “Applicando il metodo d’indagine psicoanalitico, certe insufficienze delle nostre prestazioni psichiche e certi atti all’apparenza non intenzionali si dimostrano ben motivati, determinati da motivi ignoti alla coscienza.”[4] La vera superstizione è il principio di causalità, scrisse Wittgenstein nel Tractatus del 1922 (5.1361). Freud ribadì la propria superstizione in LIo e l’Es con una seconda serie di cause, le pulsioni di morte, cause finali, parallele alle pulsioni sessuali, che sono cause efficientiEssendo medico,Freud ereditò l’assetto eziologico aristotelico via Ippocrate.

Meno categoricamente di Wittgenstein, anch’io nego il determinismo stretto in psicanalisi. Nego l’accanirsi alla conferma. Riconosco però che la lingua tedesca non aiutò Freud a uscire dalla stretta deterministica. In tedesco “probabilità” si dice Wahrscheinlichkeit, che significa anche “verosimiglianza”. Freud usò il termine wahrscheinlich inprevalenza nel senso di “verosimile”, in rari casi nel senso di “forse” o “non ben determinato”. Manca comunque al freudismo la valutazione dei livelli d’incertezza: “molto probabile, poco probabile”. Freud non applicò mai alla soggettività il criterio quantitativo, proprio delle valutazioni scientifiche oggettive. La sua teoria della libido fu una teoria quantitativa ma senza unità di misura. Nella topologia dei suoi tempi si parlava di pseudometrica, ma Freud non seppe contestualizzare la sua teoria nell’ambito scientifico dell’epoca.

La differenza tra probabilità e verosimiglianza è sottile ma provo a esporla in termini elementari, perché potrebbe favorire la transizione verso la psicanalisi scientifica. Innanzitutto c’è da rispettare il riferimento lessicale. È chiaro quello del dizionario Sabatini-Coletti. Probabile è ciò “che si ritiene possa diventare, da possibile, reale”,[5] cioè, è ciò che “può essere ragionevolmente congetturato”. Verosimile è ciò “che è simile al vero e pertanto può essere accettato come tale, creduto”. Si noti come in entrambe le definizioni sia presente il riferimento soggettivo del “ritenere” e del “credere”. Il calcolo delle probabilità dovrebbe interessare lo psicanalista perché introduce nel discorso scientifico l’istanza soggettiva.[6]

La distinzione si può approfondire. Probabilità e verosimiglianza sono entrambe probabilità, cioè giudizi d’incertezza,[7] ma epistemicamente diverse. La differenza sta nella simmetria tra reale e simbolico, tra oggettivo e soggettivo. Sono probabili gli eventi che si registrano statisticamente nel mondo reale degli oggetti; sono verosimili le ipotesi che si controllano in modo probabilistico nel mondo simbolico del soggetto. Non occorre essere lacaniani per pensare la differenza tra reale e simbolico, tra statistica e probabilità. Il punto è cruciale da chiarire, ma ci vuole un minimo (proprio un minimo) di intelligenza matematica per afferrarlo.

La simmetria, che al tempo stesso separa e collega la probabilità alla verosimiglianza, è nella nozione di variabilità, assente nella mentalità prescientifica di Freud.[8]La probabilità riguarda una serie di differenti eventi reali, A1A2,…, visti dipendere da una certa ipotesi esplicativa o condizionante, H. Per esempio, lanciando una moneta, gli eventi reali sono Testa Ao Croce A2, mentre l’ipotesi simbolica è la simmetria della moneta, che non determina gli eventi ma condiziona la loro probabilità, nel caso l’equiprobabilità, p(A1|H) = p(A2|H), da leggere “probabilità dell’evento Ai, data l’ipotesi condizionante H”.

La verosimiglianza riguarda la frequenza con cui si verifica l’evento Anel mondo reale, sotto diverse ipotesi a priori H1,H2, …, formulate nel mondo simbolico; in formule, p(A|H1), p(A|H2) … sono verosimiglianze, da leggere “probabilità dell’evento A, date le ipotesi condizionanti Hi”.[9] Per esempio, le ipotesi sono le malattie descritte nei trattati di patologia medica, H1H2, …; nel caso dell’attuale pandemia H1H2, sarebbero influenza e covid; il sintomo Ala tosse. Il lavoro diagnostico del medico consiste nel passare dalle verosimiglianze del sintomo alle probabilità delle malattie, cioè da p(A|H1), p(A|H2) … a p(H1|A), p(H2|A) …. A tal fine, i progetti di diagnosi medica assistita dal calcolatore si servono del teorema di Bayes, o delle cause inverse, tenuto conto della diffusione della malattia nella popolazione attraverso la cosiddetta probabilità a priori, o probabilità incondizionata della malattia, prima di conoscere il sintomo.

Nel caso della probabilità la variabilità è nel reale e a posteriori, mentre il simbolico è costante; nel caso della verosimiglianza la variabilità è nel simbolico e a priori, mentre il reale è costante.[10]La variabilità introduce anche l’incertezza nei dati empirici, che sono sempre accompagnati da misure d’errore come la deviazione standard o gli intervalli fiduciali. Sono sottigliezze epistemologiche, anche molto pratiche, che esulano dal freudismo il quale, ripeto, non concepiva la variabilità. L’unico a priori per Freud era l’esistenza certa delle cause, cioè delle pulsioni; l’unico a posteriori era l’effettocerto, cioè lo scarico di energia libidica sul modello dell’eiaculazione. Il modello cognitivo freudiano fu l’aristotelico scireper causas, definitivamente obsoleto dopo Galilei.
 
L’incertezza intellettuale[11]

Avanti per questa strada urterei la suscettibilità di chi teme l’introduzione in psicanalisi di discorsi troppo matematici, tipo la logica dei Gödel, la teoria dei giochi dei von Neumann, il calcolo delle probabilità dei De Finetti. Niente paura. Dalla pratica analitica ho imparato troppo bene a rispettare la comune volontà d’ignoranza per affrontarla di petto. Cerco di aggirarla. Allora torno al testo di Freud; riprendo il significante attorno al quale si sviluppa il suo secondo baco nel testo citato: proprio l’incertezza intellettuale, die intellektuelle Unsicherheit.[12]

Seguendo Feynman, ritengo l’incertezza l’asse epistemico portante del discorso scientifico. La scienza non è religione; non ha verità certe da far credere al popolo. La scienza ha congetture verosimili, sostanzialmente false, da confutare in modo assiduo e sistematico. Perciò, in nome dell’ontologia, il senso comune preferisce la religione alla scienza; addirittura diffida della scienza, come stiamo vedendo in regime di pandemia, nei negazionismi in generale. Oggi alla scienza si preferisce la tecnica e alla tecnica la politica. Sono discorsi di copertura della generale volontà d’ignoranza. Non insisto oltre e torno a Freud.

Nel testo in esame Freud la fa finita con l’incertezza e in un certo senso con la scienza. In tema di unheimlich riferisce, contestandola, l’opinione scientifica di Jentsch, che attribuisce l’unheimlich all’“incertezza intellettuale”,[13] in particolare all’incertezza se ciò che vediamo sia apparentemente vivo, mentre è morto, o sia morto, mentre è apparentemente vivo. Insomma, per la mentalità moderna tra vita e morte ha luogo un doppio gioco, ignoto a Freud: ci sono i falsi positivi e i falsi negativi, i primi sono riconosciuti vivi essendo morti, i secondi sono riconosciuti morti essendo vivi. Il punto è delicato perché tocca l’essenza del pensiero vitalista, che oggi è molto gettonato, distinguendo biosda zoe e sfociando in dottrine biopolitiche. Non si può negare che la dottrina freudiana sia vitalista. Le pulsioni della metapsicologia freudiane sono forze vitali costanti, al confine tra il somatico e lo psichico, che non hanno riscontro né in biologia (non sono istinti) né in psicologia, ma si rifanno all’ilozoismo presocratico, ultimamente a quello di Empedocle.

Volontà di certezza e vitalismo generano la dottrina freudiana della castrazione e del complesso di Edipo, che si avvalgono di costrutti intellettuali di tipo narrativo antropomorfo. La psicanalisi come disciplina storica è composta da storielle. Nella psiche freudiana esiste un piccolo uomo dentro l’uomo, anzi tanti piccoli uomini, l’Io, l’Es e il Super-Io, l’un contro l’altro armati, che combattono da sempre per il predominio del territorio psichico. La terminologia metapsicologica freudiana è bellica; è fatta di conflitti, meccanismi di difesa, occupazioni territoriali psichiche (Besetzungen, tradotte in modo fuorviante “investimenti”), censure e rimozioni. L’armamentario metapsicologico freudiano è assolutamente fantastico, ma è presentato in termini di certezza, come se fosse vero il detto di Eraclito che nel mondo della vita la guerra è la madre di tutte le cose. È in particolare la madre della dottrina freudiana. Se c’è qualcosa di unheimlich è perché ritorna qualcosa di spiacevole rimosso, concernente la castrazione. Come dubitarne in termini di ragion sufficiente?

Già, il dubbio. Non c’è posto per il dubbio nella dottrina freudiana. Freud non fu cartesiano; non ebbe Cartesio in biblioteca. La sua scienza fu pre-cartesiana, basata sulla certezza del principio di ragion sufficiente, che già il “divino” Platone e poi Aristotele mutuarono da Ippocrate. Nel freudismo c’è vino nuovo, l’invenzione dell’inconscio, in otri vecchi, lo scire per causas. Il capolavoro letterario di Das Unheimliche si sostanzia di vecchiume intellettuale, un pamphlet a effetto su causa ed effetto. Non dimentichiamo che Freud ci presentò il principio di ragion sufficiente come “imperativo bisogno di causalità” nel romanzo storico: L’uomo Mosè e la religione monoteista,[14] dove campeggia come bias di conferma.[15]

Dall’eziologismo di Freud noi freudiani non sappiamo ancora liberarci. Ci sembra garanzia di verità. La ragione principale è l’imprinting medico comune a Freud e a molti psicanalisti. Ma un ruolo non secondario esercita la scrittura di Freud. Gli antagonisti di Freud, penso a Jung, non sapevano scrivere come Freud. La difficoltà a superare il sovradeterminismo di Freud è dovuta anche al fascino della sua scrittura, che pure in molte traduzione sistematicamente si perde quasi del tutto. Come ho ricordato, ho provato a tradurre Das Unheimliche; sono forse riuscito a conservare in parte l’originale concinnitas freudiana, oggi demodé, riducendo di oltre il 10 per cento l’estensione della traduzione ufficiale, che è prolissa e sabbiosa; pretende spiegare troppo, riferendosi più alla dottrina freudiana ufficiale morta che al testo vivo di Freud. Se Paolo Boringhieri mi avesse affidato la traduzione delle SFGW avrebbe risparmiato un volume delle Opere di Sigmund Freud. C’è da chiedersi: “Cosa c’è in quel volume in più?” Rispondo con un pizzico di polemica: qualche baco.
 
Inquadratura filosofica

Non sono filosofo, quindi sarò breve. In estrema sintesi si tratta di passare dall’ontologia all’epistemologia. Troppo breve? Allungo appena il brodo. Il passaggio epocale avviene dall’essere che è, accoppiato al non essere che non è, al sapere congetturale, che è falso,[16]ma tende al sapere meno congetturale, che è meno falso. Fatto questo, si può tentare di ripulire Freud dai suoi bug ippocratico-aristotelici, fondamentalmente ontologici.

Insomma, anche in psicanalisi bisogna tener conto del gesto del dubbio cartesiano che quattro secoli fa cambiò le carte sul tavolo filosofico sotto il naso di molti filosofi, che non se ne sono ancora accorti. È cambiato l’assetto della verità; non più in concordanza esclusiva con i fatti, non più in antitesi con il falso, non più e non solo condizione retorica della narrazione, tipicamente le narrazioni edipiche in Freud; in epoca scientifica la verità è un fatto epistemico: il vero è sapere ben saputo e omogeneamente distribuito in collettivi di pensiero scientifico; il falso è sapere meno ben saputo e frastagliato in diversi sotto-collettivi. La differenza dai vecchi tempi è sostanziale: la verità non è più un dato ideale immutabile, legato all’essere dell’esserci;[17] come le specie biologiche è plurale ed evolve in direzioni imprevedibili.

Oggi è possibile concepire l’inconscio freudiano non più come cestino dei rifiuti, dove cadono le rappresentazioni psichiche sgradite; inteso in senso positivo, l’inconscio è la sorgente di nuove verità, che faticosamente l’analisi alleva e fa crescere, lottando contro la primigenia volontà d’ignoranza. Quelli inconsci sono eventi nella cerchia allargata della comunità scientifica o in quella ristretta e domestica del soggetto individuale. Non c’è differenza concettuale tra ciò che succede all’orbita dell’elettrone intorno al nucleo o all’orbita erotica di un bambino che cresce in famiglia; sono eventi destinati alla spiegazione scientifica entrambi. Il lavoro scientifico è l’aggiornamento al sapere collettivo, magari scovando vecchi bug individuali che bloccano nuove verità.



[1] S. Freud, “Das Unheimliche” (1919, L’inquietante) in Sigmund Freud gesammelte Werke (d’ora in avanti SFGW), vol. XII, p. 355.
[2] B. Pascal, Œuvres complètes, vol. I, a c. M. Le Guern, Gallimard, Paris 1998, p. 142.
[3] Analogamente non puoi battere a caso su un tamburo. Prima o poi emerge il tuo ritmo personale.
[4] S. Freud, “Zur Psychopathologie des Alltagslebens(1901, La psicopatologia della vita quotidiana) in SFGW, vol. IV, p. 267.
[5] Il punto è esaustivamente sviluppato da Bruno De Finetti nella sua Teoria delle probabilità. Sintesi introduttiva con appendice critica,vol. I, Einaudi, Torino 1970, pp. 33 sg.
[6] La precisazione è rivolta a chi sostiene che il discorso scientifico non abbia soggetto. Lacan ha fatto tesoro della stocastica nel seminario sulla lettera rubata.
[7] In Freud il giudizio assume solo due forme: o è giudizio di qualità, cioè riconosce una certa qualità nell’oggetto, o è giudizio di esistenza, cioè riconosce l’esistenza dell’oggetto nella realtà. V.La negazione(1925) di Freud nella mia traduzione:http://www.psychiatryonline.it/node/9026. Il giudizio di probabilità non esiste.
[8] È fallacia diffusa considerare Freud positivista. Freud non fu positivista; fu ippocratico; considerò ogni evento morboso effetto di un agente morboso, l’aristotelica causa efficiente. Estese il principio di ragion sufficiente dalla medicina alla psicologia.
[9] Si noti lo spostamento dell’indice di variabilità i.
[10] Sull’argomento v. D.V. Lindley, Introduction to Probability and Statistics from a Bayesian Viewpoint, vol. I, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1965, p. 38 sg, dove si fa notare che la somma delle probabilità di eventi esclusivi ed esaustivi è 1, mentre la somma delle verosimiglianze non è necessariamente 1.
[11] In merito suggerisco un altro Lindley. D. Lindley,Incertezza. Einstein, Heisenberg, Bohr e il principio d’indeterminazione (2007), trad. S. Frediani, Einaudi, Torino 2008.
[12] S. Freud, “Das Unheimliche”(1919, L’inquietante) in SFGW, vol. XII, p. 231.
[13] S. Freud, “Das Unheimliche”(1919, L’inquietante) in SFGW, vol. XII, pp. 231, 242, 245, 261. Considero questo un raro, benché insistito, riferimento cartesiano nell’opera di Freud.
[14] S. Freud, “Der Mann Moses und die monotheistische Religion”(1938, L’uomo Mosè e la religione monoteistica) in SFGW, vol. XVI, p. 214. Quest’opera dà voce al profondo spirito religioso che, pur denegato, anima l’opera freudiana. Per essere atei non basta negare Dio. Bisogna riconoscere le ragioni per cui lo si nega. Il doppio parricidio di Mosè testimonia quanto in Freud fosse viva l’esigenza di un dio vivente.
[15] Freud ignorava che il bias di conferma porta dritto al conformismo (al confermismo!), cioè a consolidare idee preconcette. In due casi su tre le conferme sono coincidenze casuali. Per cominciare a intravedere un effetto sistematico occorrono almeno 10 coincidenze di fila. Vedi il post http://www.psychiatryonline.it/node/8973 per l’analisi delle coincidenze. 
[16] “Considerai pressoché falso tutto ciò che non fosse nulla di più che verosimile”.Cartesio, Il discorso sul metodo (1637), trad. L. Urbani Livi, Bompiani, Milano 2001, p. 101. La concezione epistemica della verità fu ribadita da Spinoza in Etica, II Parte, Prop. 35: “La falsità consiste nella privazione di conoscenza che le idee inadeguate, ossia mutile e confuse, implicano” (postumo, 1677). Da anni dorme sonni indisturbati nel mio computer un libretto di 100.000 caratteri, intitolato Per un’epistemologia dell’incertezza; non trovò editore, forse per qualche formula matematica in più.
[17] Con il Dasein heideggeriano fa ritorno l’antico vitalismo ilozoista, una forma di animismo, di cui estesamente parla Freud nel saggio in questione, senza accorgersi che la sua stessa metapsicologia pulsionale è vitalista.

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